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Rapporto sull’incendio in Val Susa: l’estate rivela il disastro sulla montagna

Il bosco di Pampalù cancellato dal fuoco, la minaccia sui comuni a valle. La sindaca di Mompantero: “Quando piove ho sempre paura che il monte si sbricioli e ci frani addosso”. Alla protezione civile il dossier della Regione sull’emergenza


Basta alzare gli occhi verso la montagna per rendersi conto di quanto gli incendi dello scorso ottobre in Valsusa abbiano devastato i boschi fino al Rocciamelone. Alberi e sottobosco che hanno lasciato il posto a superfici di terra nera, cotta per parecchi centimetri anche sotto il livello del suolo. Il versante somiglia a una colata di cemento bruno e si comporta come se lo fosse ogni volta che piove. Senza gli alberi a fare da filtro, l’acqua scende e porta con sé detriti e fango. Senza contare il danno paesaggistico, ci vorranno anni per riavere i boschi divorati dieci mesi fa dalle fiamme e parecchi soldi per rimettere in sicurezza i versanti. Ciò che è rimasto ad esempio nel vasto bosco Pampalù, la zona che più di altre è stata colpita dagli incendi, non ha più nulla dei colori verde-giallo della stagione: tutto è grigio cenere, nero, rosicchiato dalle fiamme, senza foglie e senza vita.

Da lunedì il dossier con gli interventi per risolvere l’emergenza è sul tavolo del capo della protezione civile Angelo Borrelli. Il presidente Sergio Chiamparino, che è stato anche nominato commissario dopo la richiesta di calamità naturale per gli incendi che hanno devastato la Valsusa lo scorso mese di ottobre, ha spedito a Roma la documentazione relativa a 3 milioni di euro, già stanziati per la calamità naturale che il governo aveva riconosciuto per i comuni di Mompantero, Chianocco e Bussoleno. Qui, tra l’altro, il 4 giugno c’è stata una frana con il fango che è arrivato in paese e entrato nelle case, dovuta anche all’erosione del suolo provocata dai roghi.

Sono stato domenica a Mompantero e ho visto molto bene i danni provocati dai roghi dell’inverno scorso — racconta l’assessore regionale all’Ambiente Alberto Valmaggia — la Regione sta andando avanti con gli interventi previsti sulle aree danneggiate: ci sono zone della montagna fortemente compromesse, altre in cui il bosco dà segni di ripresa, non significa — precisa — che stiano crescendo gli alberi, ma si vede un po’ di vegetazione, piante pioniere che ci dicono che il suolo ha ancora una fertilità e potrà con il tempo riprendersi». Le azioni previste dal piano che ora aspetta l’ultimo via libera dal dipartimento nazionale di Protezione civile prevedono interventi sul fronte forestale, sulle piante morte, che non sempre vengono rimosse, perché i tronchi restano in grado di trattenere terreno, e con puntuali interventi di ripiantumazione. «Con le conoscenze attuali sappiamo che ripiantare a tappeto gli alberi bruciati non è una buona idea, perché si portano parassiti e si rischia di fare ancora più danno» spiega Luca Giunti, valsusino e guardia-parco delle Alpi Cozie. Meglio lavorare sui ceppi rimasti, creare palizzate naturali e ripristinare la vegetazione solo a piccoli gruppi di dieci o venti alberi in luoghi particolari della montagna, dopo un attenta analisi degli esperti.

Nell’elenco delle azioni previste c’è un lungo capitolo dedicato alla prevenzione del dissesto idrogeologico, un’emergenza nell’emergenza se si pensa alla fragilità del terreno, già in origine parecchio franoso e destinato a diventarlo ancora di più durante la stagione delle piogge autunnali. «È fondamentale canalizzare l’acqua — spiega Valmaggia — pulire i torrenti e i rii e realizzare le vasche per il contenimento idrico». A Bussoleno, dopo la frana di giugno, sono già partiti i lavori per la realizzazione delle briglie, per un costo di 350 mila euro, necessarie per trattenere il materiale solido che in caso di piogge forti tende a cadere dal versante delle montagna. Anche per questo Valmaggia e la Regione hanno alzato il livello di attenzione su questa parte del Piemonte. «Abbiamo avviato un rapporto ancora più stretto con Arpa — spiega Valmaggia — affiché sia data la massima attenzione a ogni bollettino di allerta meteo arancione, o anche solo gialla, che riguardi queste vallate e queste montagne».

Mompantero, l’allarme della sindaca: “Dopo gli incendi la montagna rischia di franare”

Intanto si vive con la mente alla montagna che incombe. «La nostra vita dopo l’incendio non è più la stessa, non dimenticheremo mai il terrore per il fuoco davanti alle nostre case. E se penso al prossimo inverno ho di nuovo paura» dice Piera Favro, sindaca di Mompantero. «Il 70 per cento di nostro territorio è stato coinvolto dall’incendio, la montagna ha perso la sua naturale capacità di trattenere l’acqua perché non c’è più bosco. Io vado a dormire con il cellulare sul comodino e ogni volta che squilla ho un sobbalzo perché temo che sia un’allerta meteo. A ogni temporale temiamo che la pioggia porti a valle detriti, fango e cenere. Quando piove, con i volontari e gli uomini della protezione civile andiamo a controllare i torrenti per vedere il colore dell’acqua e non ci siano tappi, per il resto incrociamo le dita».

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