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Perché in Italia serve una legge sul revenge porn

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OCUSFOCUS VIA GETTY IMAGES
Stare su Facebook è come avere un’arma potentissima. Leggevo qualche tempo fa, sulle pagine del The Guardian, di un’indagine secondo cui su Facebook ci sarebbero 54mila casi di revenge porn ogni mese. Oltre alle migliaia di storie di ritorsioni sessuali con l’obiettivo di estorcere denaro alle vittime, o di casi di copia e incolla di chat inoltrate a più persone semplicemente per il gusto perverso di diffamare o vendicarsi di una persona. Nel 90% dei casi questi fenomeni avvengono per mano di uomini. Purtroppo, sappiamo bene anche in Italia quanto questo problema sia diffuso. Tiziana Cantone morì suicida perché non reggeva più il peso della vergogna e le fu negato il diritto all’oblio. Ragazzine poco più che adolescenti, qualche giorno fa, si sono viste mettere in rete video e immagini intime. Casi ce ne sono ogni giorno, ormai non si contano più.
Proprio ieri leggevo la notizia di un progetto pilota, che sta partendo in Australia, che coinvolgerebbe Fb e una locale agenzia del governo preposta alla sicurezza in rete: sostanzialmente Facebook chiederà alle vittime di caricare sulla piattaforma gli originali del nudo fatto indebitamente o illecitamente circolare da altri, con l’obiettivo di “hasharlo”, cioè di renderlo automaticamente leggibile dall’intelligenza artificiale del social network che sarà così in grado di rintracciare e rimuovere tutte le copie di quella foto che circolano al suo interno. Non mi soffermo su questo, anche se mi sembra un primo passo importante di consapevolezza, innanzitutto, del colosso dei social, rispetto a un tema urgentissimo. Mi preoccupa di più, da padre e da avvocato matrimonialista, ciò che c’è dietro a questo fenomeno, al quale dedico un capitolo intero del mio ultimo libro “C’eravamo tanto armati”, edito da Imprimatur. Molti uomini, una volta lasciati dalle loro ex, vivono in funzione della vendetta verso quest’ultima.
E, quando non riescono con l’acido e con le armi, tentano di farlo in rete. Vogliono far sapere a tutti che la loro ex donna è una poco di buono, e spesso allegano anche nome e cognome della malcapitata e l’indirizzo. A poco serve la denuncia: quando sarà disposta la rimozione dell’immagine, sarà comunque tardi perché, nel frattempo, le visualizzazioni saranno alle stelle e i contenuti saranno diventati virali. Il danno sarà irreparabile. L’unico deterrente per questi criminali potrebbe essere rappresentato da una legge ad hoc, un’azione penale detentiva severissima e l’interdizione dall’uso dei social. Tutti, i social. Ma, purtroppo, il nostro garantismo giuridico e giudiziario non lo consente. E, così, le vittime di certi reati restano isolate.
Queste donne vengono messe alla gogna, nel 90% sono colpite da sindrome depressiva. Ritornando alla triste vicenda di Tiziana Cantone: che sia da monito. Era un anno e mezzo che questa ragazza era messa alla gogna, chiedendo disperatamente la rimozione delle immagini. Nessuno lo ha fatto. Si è suicidata a 31 anni per disperazione. Ma ricordo un altro caso, quello di una giovane disperata perché il suo ex aveva inviato ai suoi amici e al nuovo fidanzato di lei, le sue foto intime. Uccisa nell’anima e derisa da tutti, è stata lasciata dal suo nuovo fidanzato. Non intervengo rispetto a quest’ultima cosa. Ma rifletto sulla tragedia esistenziale di questa ragazza che vivrà per sempre questa gogna, mentre il suo ex continua a deriderla in un bar davanti ai suoi amici nell’indifferenza generale.

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