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Mafia di Gela, scattano 37 arresti: in manette anche un avvocato e due carabinieri

Maxi operazione dalla Sicilia alla Lombardia e alla Germania contro il clan Rinzivillo. I militari avrebbero passato informazioni riservate ai boss.

Trentasette arresti in Sicilia, Lazio, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Germania e sequestro di beni e società per oltre 11 milioni di euro. E’ il bilancio di una  maxi operazione antimafia coordinata dalla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo e disposta dalle Direzioni distrettuali antimafia di Roma e di Caltanissetta. Nel mirino, la famiglia mafiosa di Gela, nella sua articolazione territoriale, ovvero il clan Rinzivillo.
Ci sono anche un avvocato romano e due carabinieri tra i 37 arrestati. Nei confronti dei due militari l’accusa è di accesso abusivo alle banche dati delle forze dell’ordine: in sostanza avrebbero passato notizie riservate ai membri del clan, da sempre alleato dei Madonia e con i corleonesi. L’avvocato sarebbe invece il trait d’union tra i mafiosi e i professionisti.
Delle 37 misure cautelari eseguite da Finanza, Polizia e Carabinieri nei confronti di presunti appartenenti al clan mafioso Rinzivillo a Gela, ben dieci portano la firma del gip del tribunale di Roma che, su richiesta della Dda, ha disposto l’arresto, tra gli altri, anche del boss gelese Salvatore Rinzivillo, da tempo residente nella capitale, per intestazione fittizia di società al fine di eludere la normativa antimafia in materia di misure di prevenzione patrimoniali, traffici di droga sull’asse Germania – Italia, destinati a rifornire il mercato romano ed un grave episodio estorsivo, aggravato dalle modalità mafiose. Intercettazioni ambientali e telefoniche e una serie di verifiche di natura economico-patrimoniale, hanno consentito agli investigatori di documentare tutte le fasi dell’estorsione compiuta a carico della famiglia Berti, che gestisce il Cafè Veneto, rinomato locale nella centralissima via Veneto. Non solo, ma Rinzivillo, sollecitato dal co-mandante gelese Santo Valenti, assistito da un nutrito numero di compartecipi, con il ruolo di “ambasciatori” delle richieste estorsive, ha posto pure in essere chiare minacce volte a condizionare la gestione di forniture nell’ambito del mercato ortofrutticolo di Roma.
Più nel dettaglio, anche giovandosi dei rapporti instaurati con due infedeli “uomini di Stato”, come Marco Lazzari e Cristiano Petrone, impiegati dal boss per l’acquisizione illecita di notizie sulla vittima attraverso l’abusivo accesso alle banche dati in uso alle forze di Polizia, nonchè, solo Lazzari, anche per l’effettuazione di sopralluoghi presso il Cafè Veneto, Rinzivillo e Valenti, con l’aiuto di pregiudicati e non come i romani Angelo Golino, deputato alla consegna dei ‘pizzini’ minatori, e Salvatore Iacona, che aveva la disponibilità di armi, e il siciliano Rosario Cattuto, responsabile di diretti atti intimidatori e minacce verbali, compivano atti diretti ad ottenere

dalla famiglia Berti, indebitamente, la somma di 180.000 euro.
La vittima dell’estorsione, Aldo Berti da un lato, aveva presentato una denuncia contro gli estortori e, dall’altro, al fine di dirimere la controversia, si era rivolto al pregiudicato mafioso palermitano Baldassarre Ruvolo, prima collaboratore di giustizia e poi estromesso dal programma di protezione, già appartenente alla famiglia mafiosa di Cosa Nostra dei Galatolo dell’Acquasanta di Palermo.

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