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Thyssen, Mattarella: "Una ferita che non si rimargina, ancora molto da fare su sicurezza

Il Quirinale a dieci anni dalla tragedia nella sede torinese dell’azienda tedesca in cui morirono sette operai: “Ogni morte sul lavoro è una perdita irreparabile”
ROMA – “Ogni morte sul lavoro è una perdita irreparabile per l’intera società. Nella notte del 5 dicembre 2007, sette operai morirono nell’incendio nell’acciaieria della Thyssenkrupp a Torino e questa è una ferita che non può rimarginarsi”. Sono trascorsi dieci anni e il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ricorda la tragedia avvenuta nella sede torinese dell’azienda tedesca.
Boldrini: “Nulla è cambiato dopo la tragedia”
Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Giuseppe Demasi: è giusto ricordare i loro nomi perché non si può accettare che si possa morire sul lavoro e per il lavoro – sottolinea il capo dello Stato -. Il lavoro costituisce il cardine del patto di cittadinanza su cui si fonda la nostra Repubblica ed è un diritto del lavoratore e un dovere della società che vengano rispettate ed applicate le norme sulla sicurezza. In questi dieci anni nella prevenzione degli incidenti e nel supporto agli infortunati sul lavoro sono stati fatti passi avanti, ma resta ancora molto da fare per far sì che la sicurezza venga considerata essa stessa un volano che contribuisce allo sviluppo. Ai familiari delle vittime e a coloro che in ogni altra tragedia sul lavoro hanno perso un collega, un amico, un familiare, rivolgo un solidale e affettuoso saluto”.
Lo scorso ottobre la Corte di Cassazione ha scritto la parola fine sulla giustizia dopo la tragedia: ha bocciato i ricorsi dei dirigenti dell’azienda, dichiarandoli inammissibili, presentati dall’amministratore delegato della Thyssen Harald Espenhahn (condannato a 9 anni e 8 mesi), dai dirigenti Gerald Priegnitz, Marco Pucci (entrambi condannati a 6 anni e 10 mesi) e Daniele Moroni (condannato a 7 anni e 6 mesi) contro il verdetto di condanna definitivo che la Suprema Corte – quarta sezione penale – pronunciò il 13 maggio 2016. Per i parenti soddisfazione a metà: 

 

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