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Manlio Santanelli: “Festeggio 80 anni con un processo ma i miei attori mi difenderanno

Manlio Santanelli compie ottant’anni, e il Nuovo Teatro Sanità gli fa festa invitando attori ed amici per un “Processo a un autore” che avrà inizio questa sera alle 20,30.
Santanelli sarà “alla sbarra” sottoponendosi a un processo sul suo lavoro di drammaturgo.
Edgardo Bellini e Mario Gelardi sono i “pubblici accusatori”, a deporre a favore dello scrittore ci saranno alcuni tra i “suoi” attori.
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Santanelli, un processo vero e proprio?
«Come si facevano una volta, io mi difenderò sfoggiando la mia laurea in Giurisprudenza».
Utilizzando i suoi scritti?
«Utilizzando i brani delle mie commedie recitati dagli attori amici che parteciperanno alla serata, Isa Danieli con il “monologo del pescecane” da “Regina madre”, Nello Mascia con il “monologo della creatura” da “Uscita di emergenza”, Marina Confalone con il “monologo della sorella piccola” da “L’aberrazione delle stelle fisse”, Roberto Azzurro con “La Venere dei terremoti”, Gea Martire con il “monologo dell’orecchio” da “Il mio cuore è nelle tue mani”, Fabio Cocifoglia con “Memorie di un uxoricida” da “Militari, religiosi e piedi difficili”».
E poi ci sarà un’anteprima ?
«Affidata a Federica Aiello e Michele Danubio, che terranno a battesimo un mio nuovo testo, “Domanda di desiderio”, con una coppia di mezza età alla ricerca affannosa di nuovi stimoli per portare avanti il loro rapporto. E il pubblico farà da giuria».
Un’occasione per un bilancio anche se ironico?
«Purché non sia una commemorazione, quello che corrisponde al mio stato d’animo quando lavoro e anche fuori dal lavoro, cercando cioè di essere sempre bisognoso di rassicurazioni, verifiche, conferme».
Ancora ne ha bisogno?
«Non sono mai arrivato al punto di ritenermi al di sopra dei giudizi, dubito sempre, ed è questa la mia natura. Il dubbio è una forma di forza e non di fragilità che mi permette di scoprire sempre potenzialità nuove mentre chi è sicuro di sé si ferma al punto di partenza e non compie un vero percorso».
Ottant’anni e molti dedicati al teatro, più divertimento o sofferenza?
«Gli ossimori, che amo molto, in questo caso sono i più efficaci. Dirò allora che mi sono divertito in maniera dolorosa, nel senso che a ogni divertimento ha corrisposto un lavorio interno, una sofferenza, un disagio. Le commedie che ho scritto me ne hanno sempre prodotto, e forse questa è la chiave per cui si capisce anche una mia poetica che crea con il teatro il disagio nello spettatore».
Quale delle sue tante commedie predilige?
«Più che prediligere ho voglia di vederne messa in scena una tra quelle che sono in attesa di essere rappresentare, che è il modo per fare esistere quel che scrivo traendolo fuori da una sorta di fase limbale in attesa della vera nascita in palcoscenico. Vorrei vedere “La serva del Principe”, che ho scritto sulla cultura del Machiavelli, vorrei vederla recitata così come la ho scritta. Credo che

potrebbe meritare l’applauso del pubblico.»
Intanto sta scrivendo qualcosa nuovo?
«La battaglia per scrivere del Machiavelli mi ha dato una certa improntitudine e quindi ora sto affrontando la “Vita nova” di Dante Alighieri. Lo considero un libro di fondazione dell’amore nella cultura occidentale, un amore che dall’eros pagano porta a un sentimento sicuramente mistico, o laico o religioso che sia.»

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