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Uno Bianca, il padre del carabiniere ucciso: "Traditi dallo Stato". Occhipinti libero: "Non parlo per rispetto"

La reazione dei famigliari delle vittime alla scarcerazione di uno dei killer


«Non voglio parlare, non posso. Devo del rispetto a tante persone». Tono di voce fermo, modi calmi ma risoluti. Marino Occhipinti, 53 anni, scende da una piccola monovolume chiara assieme alla sua compagna. Lei va spedita verso casa, lui incontro al cronista diRepubblica. Pantalone beige, polo azzurra, il volto scolpito da quasi 24 anni di carcere. Non c’è traccia di felicità per la libertà conquistata da meno di una settimana. C’è invece voglia di uscire dalla luce di riflettori e di difendere quel piccolo mondo che si è ritagliato in un paesotto della provincia di Padova. «Si, sono io», conferma.
«Mi hanno detto che ha fatto delle domande ai miei vicini. Uno di loro mi ha telefonato per avvertirmi della sua presenza. Conosco il lavoro di giornalista e capisco che fa il suo dovere, ma vorrei che non creasse disagio tra queste persone. C’è gente che potrebbe aver paura». Taglia corto Occhipinti, non aggiunge altro se non un «grazie e arrivederci». Poi ribadisce: «Mi capisca, devo rispetto a tanti davvero. Per questo non dico niente». Alle 21 e 48 si chiude alle spalle il cancelletto dell’ingresso dell’abitazione, rientra in casa puntuale, entro le 23, come previsto dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia che gli ha dato la liberazione condizinale, sostituendo la semi libertà di cui godeva fin dal 2102.
La liberazione dell’ex gregario della banda della “Uno bianca”, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Carlo Beccari (guardia giurata di 26 anni uccisa nel 1988 durante l’assalto alla cassa continua della Coop di Casalecchio di Reno) ha inevitabilmente fatto scalpore e suscitato la reazione addolorata dei parenti delle vittime. “Oggi, con tutti i benefici già
concessi ai componenti di questa efferata banda, come padre di un carabiniere che ha dato la propria vita per difendere la collettività, mi sento tradito da questo Stato”. Sono parole di Gennaro Mitilini, padre di Mauro, carabiniere ucciso il 4 gennaio 1991 insieme a due colleghi dai killer della Banda della Uno Bianca, nella Strage del Pilastro di Bologna.
In una lettera alla stampa il genitore del giovane assassinato interviene sulla scarcerazione di Marino Occhipinti, ex poliziotto componente del gruppo criminale, all’ergastolo per l’omicidio della guardia giurata Carlo Beccari: “E’ un atto che indigna i familiari e offende le vittime trucidate dalla famigerata banda di assassini”
Mitilini chiede tra l’altro a Parlamento e Governo “un intervento affinché siano chiarite e verificate le concessioni ai componenti di questa banda, responsabile di azioni così spietate e disumane”.
“Noi familiari delle vittime – scrive Mitilini – non comprendiamo le ragioni che hanno spinto il Tribunale di Sorveglianza a convincersi che il pentimento di Occhipinti sia autentico, riteniamo che senza il perdono dei familiari delle vittime non si possa chiudere gli occhi su tante atrocità. Non bisogna dimenticare che la liberazione è avvenuta senza una fattiva collaborazione con gli inquirenti che indagavano sulla banda della Uno bianca che ha ucciso e ferito centinaia di persone, una collaborazione che avrebbe salvato tante vite umane se fatta a tempo debito e che avrebbe permesso di fare piena luce su una banda, di cui non conosciamo tutta la verità e tutti i componenti, così come accertato nell’ambito del processo degli anni 90”.
“I benefici per gli appartenenti a questa banda di criminali sono stati diversi, oltre alla liberazione di Marino Occhipinti, c’è stata quella di Pietro Gugliottanel 2011, Luca Vallicelli non ha scontato quasi nulla nel carcere”, prosegue. I capi della banda, inoltre, Roberto e Fabio Savi, “condannati all’ergastolo, inspiegabilmente si ritrovano entrambi nell’istituto penitenziario di Bollate, a Milano, per poi essere trasferiti e separati dopo una vibrata protesta di noi familiari. Ci viene da pensare che quando Savi dichiarava, all’indomani dell’arresto, ‘tanto ci tireranno fuori dal carcere’ forse non si sbagliava”.
Mitilini si dice “consapevole che l’attuale sistema detentivo può prestarsi a queste procedure premiali, ma sono convito – aggiunge – che è possibile differenziare la disciplina delle concessione di premialità per quei soggetti che si sono resi responsabili di crimini così efferati, benefici che a tanti detenuti non vengono concessi nonostante abbiano commesso reati meno gravi”

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