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Petti di pollo e bistecche stampati in 3D, così mangeremo in futuro

La carne sintetica, grazie all’intuizione di un ricercatore italiano, potrebbe avere migliore palatabilità. E persino la Fao se ne interessa


COME spesso accade, tutto nasce da un errore. Nei laboratori di ingegneria dei tessuti del Politecnico della Catalogna si progettano muscoli, cartilagini e perfino organi interi per la chirurgia del domani. Giuseppe Scionti, ingegnere biomedico italiano, si cimenta con la biostampa tridimensionale di un orecchio, talmente morbido e compatto da sembrare vero. “I colleghi ci scherzavano sopra: che schifo, cos’è quella cosa? Non avevano tutti i torti: allo stato attuale non è possibile trapiantare un orecchio artificiale”, sorride Scionti, ricordando il percorso che l’ha spinto a fondare la startup Novameat e brevettare una tecnologia innovativa per l’industria alimentare. Sebbene sia appena agli inizi, negli ultimi cinque anni – cioè da quando fu presentato il primo hamburger ricavato da cellule staminali di vacca, nell’agosto del 2013 – il settore della carne sintetica ha fatto passi da gigante, soprattutto in Paesi come la Cina e gli Stati Uniti.

L’impatto ambientale della filiera della carne è elevatissimo, sia in termini di emissioni di gas serra sia di consumo delle risorse. Le direzioni intraprese dalle varie aziende per ottenere un surrogato sono sostanzialmente due. “La carne può essere ottenuta crescendo in laboratorio cellule muscolari oppure sintetizzata a partire da componenti vegetali. Entrambi i metodi hanno i loro svantaggi”, riassume Scionti. Il primo è un procedimento estremamente lento e costoso: le cellule vanno nutrite per quattro settimane con siero fetale bovino. Viceversa, gli hamburger vegetali sono informi: anche qualora il sapore si avvicini a quello della carne, la loro consistenza scoraggia l’appetito. È per ovviare a quest’ultimo problema che entra in gioco il bistrattato orecchio creato da Scionti. “Grazie a una particolare tecnica mista ereditata dalla biomedicina, le proteine vegetali possono essere organizzare a livello nanometrico come se fossero fibre muscolari. Si può così ottenere una bistecca stampata in 3D con la consistenza fibrosa tipica della carne animale. Del tutto priva di OGM”, rivela l’ingegnere. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi. Ciascuna fibra muscolare è il risultato della fusione di più cellule ed è rivestita da un sottile strato di tessuto connettivo.

“Siamo ancora lontani dal ricreare in laboratorio un muscolo perfettamente funzionante, però una sua semplificazione è già possibile. In fin dei conti, chi morde un petto di pollo non si cura della possibilità che esso possa contrarsi o meno”, ragiona Scionti. Tuttavia, pollo e manzo hanno consistenza differente. E il maiale è ancora diverso. Per questo motivo ciascun prodotto non può prescindere da uno studio istologico della carne di partenza. Le proprietà meccaniche vengono esaminate altrettanto attentamente e quindi riprodotte nella carne sintetica. La valutazione della fedeltà non prevede il maltrattamento di nessun buongustaio: essa avviene tramite prove di compressione e di trazione. I prototipi finora sviluppati dalla Novameat sono due: il petto di pollo e la bistecca di manzo. “La stampa di un petto di pollo da 100 grammi richiede 40 minuti ma una volta che il processo sarà ingegnerizzato a grande scala ne basteranno 5. Il suo costo? In linea con quello della carne di allevamento ma è destinato a ridursi drasticamente, fino a raggiungere i 20 centesimi al chilo”, riassume l’ingegnere.

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Una prospettiva intrigante, tanto da attirare le attenzioni della FAO. Infatti, la carne sintetica di origine vegetale può essere fortificata, “contribuendo a contrastare la carenza di specifici nutrienti nei Paesi in via di sviluppo. La sua distribuzione sarebbe più pratica ed efficace rispetto a quella degli attuali beveroni, peraltro difficili da far accettare alla popolazione”, spiega Scionti. Sebbene il futuro della carne sintetica rimanga tutto da decifrare, l’avvento delle biostampanti tridimensionali e la costante riduzione del loro prezzo potrebbero letteralmente rivoluzionare la nostra concezione di cibo. “I modelli più economici costano circa mille euro e in rete è già possibile acquistare preparati di vitamine, proteine e lipidi. In un futuro non lontano le persone potrebbero stampare direttamente in cucina buona parte degli alimenti” ipotizza l’ingegnere. Uno scenario forse privo di romanticismo. Ma di cui il pianeta ci sarebbe grato.

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