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Il fallimento di Lehman Brothers: La vera storia parte da quel vernerdì 12 settembre 2008

Nelle carte della commissione di inchiesta (Financial crisis inquiry commission), le mail e i verbali che svelano i retroscena del più grande disastro finanziario Usa. La titubanza del governo Bush, le paure della Fed e gli interessi delle altre banche d’affari

Essere solvente è un concetto molto semplice in finanza: se ciò che possiedi vale più dei tuoi debiti, sei solvente, diversamente, no. E quando non sei solvente, è molto probabile che tu finisca in bancarotta. Ma quel venerdì pomeriggio del 12 settembre 2008, quando i vertici delle più importanti banche commerciali e di investimento degli Stati Uniti si riunirono negli uffici della Federal Reserve a Wall Street per valutare la situazione di Lehman Brothers e trovare una soluzione di sistema per salvarla dal crac, fra loro non c’era accordo nel dire se la banca d’affari fosse solvente o no. Solo due giorni prima, Lehman aveva comunicato al mercato che il suo capitale alla fine di agosto era di 28 miliardi di dollari. Nei nove mesi precedenti la banca aveva fatto perdite per 6 miliardi, ma aveva anche raccolto attraverso aumenti di capitale ben 10 miliardi di dollari. Il che significava che aveva più patrimonio dell’anno precedente.

Nessuno, però, si era sentito rassicurato da questo semplice calcolo aritmetico. Prima fra tutti la Federal Reserve, la banca centrale americana, che non volle fare affidamento sui numeri dei libri contabili: “Il capitale iscritto a bilancio non è così rilevante, se tu stai subendo una fuga di massa”, aveva messo nero su bianco, in una nota interna, un dirigente della Fed di New York. Se i fondi istituzionali, gli hedge fund e le banche d’affari ritengono che gli asset di una banca valgano meno del valore iscritto a bilancio, escono dall’investimento, chiedono più garanzie e tagliano i prestiti. La banca si avvita su se stessa e corre dritta verso il fallimento. A Lehman stava succedendo proprio questo, era in atto una fuga che l’avrebbe lasciata senza liquidità e finanziamenti, sarebbe stata costretta a vendere i suoi asset per far fronte ai debiti a prezzi di saldo, e quel capitale, per le svalutazioni da iscrivere a bilancio, sarebbe sparito nel giro di una notte.

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