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Come diventare microinfluencer

Niente grandi numeri, bastano pochi follower ma buoni: i segreti di chi sta veramente conquistando i social e le aziende.

Come si diventa influencer è una delle chiavi di ricerca (e delle aspirazioni) più googlate nella fascia di età 11-16 anni, secondo uno studio di Awin. E non perché il mercato del lavoro non offra alternative: ma l’idea di vivere di social, ricevendo omaggi (e soldi) dai brand per postare contenuti creativi su Instagram, è decisamente seducente per molti. Non solo i giovanissimi a dire la verità, ma anche in età più avanzata.

E sempre più frequentemente i brand deviano consistenti fette del budget marketing verso gli influencer in grado di offrire conversioni interessanti, aka acquisti sicuri, spesso tracciati da codici sconto appositi. Di fronte all’offerta di tanti social media influencer in grado di spostare pareri e soldi grazie alla loro influenza (appunto) sulla community dei fan, le aziende cercano di essere il più capillari possibili e optano per chi magari a una fan base più ristretta, ma decisamente più fedele.

Si tratta dei micro-influencer, la categoria che comprende dai 10mila ai 50mila follower secondo una divisione proposta a Business Insider USA da Gabby Wickham e Shirley Leigh-Wood Oakes, cofondatrici dell’agenzia per influencer Wickerwood. I microinfluencer di valore sono i più desiderati dalle aziende, quasi più delle mega star con oltre 1 milione di follower, o dei macroinfluencer che viaggiano dai 200mila in su: perché quando questi magneti per poche migliaia di follower sono bravi, sono in grado di spingere la loro fortissima community all’acquisto, alla partecipazione, alla condivisione, a seconda di ciò che viene promosso.

E sono trasparenti, il più delle volte, perché ci tengono particolarmente alla loro credibilità. In ogni caso appaiono (il termine è cruciale) più autentici, sinceri, diretti rispetto ai giganti dell’influencing. Alle aziende possono costare meno contrattualmente parlando, ma rendere molto di più: un conversione del 10% di 20mila follower può valere, in termini di fidelizzazione al brand, molto di più dell’1% di 200mila, anche se sulla carta il numero è lo stesso.

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Callie Morgan/Unsplash

Gli influencer più piccoli, in linea generale, sono più affidabili. “Il loro contenuto viene creduto, ci si fida, ed è molto più curato. I microinfluencer sono una delle piattaforme di marketing più forti, al momento”, spiega Gabby Wickham. Lavorare su numeri minori ma in maniera verticale, vale a dire specializzandosi su qualcosa di davvero unico (un food influencer a tutto tondo funziona meno di un breakfast influencer che si concentra solo su un tipo di offerta). L’audience, vale a dire il pubblico di riferimento, si restringe ma è molto più targettizzato, attento, specifico: chi apre un ristorante in una zona di una città potrà avere discreti benefici lavorando con influencer che abitano in quella zona e la mostrano spesso, perché la loro credibilità è sicuramente altissima. Non dovranno faticare a convincere i propri follower sul contenuto di ciò che stanno dicendo.

“Significa che l’engagement, ovvero il coinvolgimento dei follower, sarà più forte perché quegli stessi influencer sono molto più consapevoli della community che li segue”, commenta Shirley Leigh-Wood Oakes. Per i microinfluencer di professione il pubblico è al centro, ed è a loro che si rivolgono per continuare a lavorare: un microinfluencer bravo lo riconosci dai commenti, da come si confronta via Stories e post con chi gli scrive, da chi lo segue e gli regala cuori, pareri e quant’altro ogni giorno. In più, diventa estremamente facile lavorare quando l’influencer è veramente un fan del marchio che gli propone di collaborare: un biobeauty influencer sarà molto più credibile nel parlare di un brand di creme green, invece che della grande casa cosmetica.

È quello che ha compreso Amber Atherton, fondatrice del tool Zyper, un algoritmo segreto che identifica i maggiori fan di un’azienda per mettere in contatto brand e pubblico, e far diventare così le persone dei potenziali influencer di quel marchio. “Ogni consumatore ha il potere di collaborare con un marchio che ama. Siamo un programma ibrido di fedeltà, significa premiare i veri fan invece di pagare le persone per postare”, spiega la Atherton, che in realtà è convinta che il fenomeno dei big influencer stia lentamente svanendo.

In parte potrebbe essere così: in realtà i mega influencer da milioni di follower funzionano, ma le aziende non si interfacciano mai direttamente con loro. Spesso e volentieri sono dei personaggi a sé, sempre meno aderenti alla realtà di chi li segue, e sapere che vengono pagati 13.000 euro a post (secondo tariffe influencer rivelate su Insider) potrebbe infastidire i follower, che tenderanno ad abbandonarli. Con i microinfluencer in grado di curare copy e foto, fidelizzare e crescere in modo sano, questo non avviene. Come si diventa microinfluencer? I consigli sono validi, ma naturalmente bisogna trovare il proprio ambito di riferimento ed entrare nelle grazie delle agenzie di influencing che riescono a trovarvi gli ingaggi giusti.

1. Rendersi conto di essere un marchio a propria volta

Fatevi alcune domande: che tipo di social media influencer volete essere? Cosa volete raccontare ai vostri follower, quali parti della vostra vita? E che tipo di stile di vita volete promuovere, prima di tutto? Questo va racchiuso in ciascuno dei post che farete.

2. Essere veri, autentici, reali

Lavorare di fino con i filtri o con Photoshop non vi aiuterà molto: l’Instagram-verità ormai è una tendenza (positiva) che va per la maggiore. Meglio mostrare un’imperfezione, che essere così precisi da sembrare insopportabili. Ok la cura, ma senza esagerare.

3. Sforzarsi di produrre contenuti di valore

Essere entusiasti, coinvolti, aderire completamente alla promozione (perché quella è) che si sta facendo, fa davvero la differenza. Se vi piace davvero quel prodotto, fatelo emergere. Sarà fondamentale.

4. Conoscere il proprio pubblico

Scrivere ai propri follower, mantenere un rapporto chiaro e pulito, interagire, parlarci spesso in pubblico, confrontarsi: tutto questo può produrre engagement, e le aziende lo sanno.

fonte:
https://www.esquire.com

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