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A Berlino da Michael Fuchs: una casa-galleria in una ex scuola

In sintonia con la tendenza che diversi cultori e operatori berlinesi dell’arte hanno a domiciliare le loro raccolte in luoghi eccentrici – ex stazioni di benzina, bunker del Reich… –, Michael Fuchs ha scelto per la sua galleria un intero palazzo nel distretto di Mitte. In origine sede di una scuola femminile ebraica, era diventato ospedale bellico e poi spazio commerciale. «Per due anni ho cercato un luogo in cui combinare sotto un unico tetto arti e cultura della tavola; insomma, vita e lavoro», ricorda Fuchs, che infatti, coinvolti nel progetto anche un amico ristoratore e altri galleristi, ha voluto un importante restauro per ridare all’edificio l’originale purezza di linee. «È tuttora un palazzo molto moderno, anche se del 1928. ll suo carattere decisamente Bauhaus spicca tra gli altri del quartiere». Riaperti al pubblico nel febbraio 2012, i 5.000 metri quadrati illuminati da ampie finestrature accolgono ora tre spazi espositivi e un ristorante.

Il blocco della cucina, realizzato su disegno. Foto di Gianni Franchellucci.

Casa e ufficio. Mentre infatti per la sua nuova galleria, dedicata ai classici del Moderno e a nuove proposte del secondo Novecento e oltre, Fuchs ha destinato la ex aula magna e due classi al terzo piano, è all’ultimo che ha posto il suo appartamento – un sobrio 10 per cento dell’intero edificio – con una superiore dépendance: il tetto-terrazza da cui si vede tutta Berlino, a cominciare dalla spettacolare cupola della vicina nuova sinagoga. Nella visione di Fuchs vuole essere un laboratorio per artisti e un campo giochi per ragazzi.

È, la sua, una conoscenza dell’arte coltivata e approfondita ormai da oltre quattro decenni, orgogliosamente da autodidatta – «Per me è l’unico modo di conoscere l’arte» –, ampliatasi subito, dalla metà degli anni ’80, anche al design. «Ho cominciato acquistando diversi pezzi di Sottsass a Basilea con Bruno Bischofberger. Nel tempo, la passione si è estesa anche agli arredi e complementi disegnati da maestri come Panton, Wegner o Prouvé diventando parte del mio lavoro». E italiani ante Memphis? «Sicuramente Gio Ponti».

Nel bagno padronale, un raro specchio Fornasetti. Foto di Gianni Franchellucci.

Il gusto di mescolare, accostare idee e opere di epoche diverse – magari creando persino apparenti cortocircuiti – che segna le proposte espositive di Fuchs si trova anche nel suo appartamento. «È prima di tutto un luogo realmente vitale, non uno specchio della vita», spiega, «animato da continue presenze, esattamente come questo edificio che non è un “gallery building” dove tutto è morto, ma dove si creano ogni giorno nuove esperienze».

Casa e ufficio sono allora la stessa cosa? «La distinzione tra pubblico e privato rimane, ma è innegabile che per un mercante d’arte il lavoro non si ferma sulla soglia del suo appartamento». Dunque, cos’è “casa” per Michael Fuchs? «È il luogo degli affetti, ma anche il mio laboratorio dove provo a vedere cosa accade, quali emozioni posso far nascere mettendo su una parete un’opera di Frank Stella e a terra un tappeto di Verner Panton. Cambio allestimento in continuazione. Mi piace mostrare ai clienti e ai collezionisti, che sono spesso miei ospiti anche a tavola, come mischiare. Non è un museo cristallizzato, intorno a una selezione di trofei. Quello che una volta si definiva “white cube” non esiste quasi più».

A spingere Fuchs in questo tour de force dell’arredo è un complesso sentimento di amore, una bulimia di bellezza che il pragmatismo del dealer depura dalle eventuali gelosie. «Amo collezionare», è la semplice spiegazione, «per avere intorno a me cose sempre nuove: una seduta, un tavolo, un’opera d’arte. Però non posso tenere tutto, così in un certo modo sono “costretto” a vendere, ma non ho mai rimpianti. Devo liberare lo spazio per le nuove acquisizioni. Sono fortunato perché vivo con l’arte ogni momento della mia giornata, ma», conclude con molta onestà, «non dimentico di essere un art dealer. Dare un prezzo a tutto fa parte del mio lavoro, è la vita». Allora, questo significa che una collezione “del cuore”, esclusivamente di Michael Fuchs, non esiste? «Finché qualcosa è in questo appartamento fa parte della mia collezione privata. In fondo, se ormai anche i più grandi musei, dal Guggenheim in giù, vendono le loro collezioni, perché non dovrei farlo anch’io?».

Ritrova questo articolo con le fotografie di Gianni Franchellucci a pagina 122 di AD di gennaio.

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