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Torino, Marchetti: “Così ho convinto Starbucks a creare il corner gelato”

L’eccellenza del gelatiere torinese nel menù  del nuovo locale della catena americana a Milano


Questa sera nella Gran Milano va in scena uno degli eventi più attesi dell’anno, almeno dai foodie: Starbucks inaugura il proprio primo negozio italiano, la lussuosa Roastery in via Cordusio 3, nell’ex palazzo delle poste. 1200 invitati, ballerine, lirica, ricchi premi, cold brew e cotillons. Chi l’abbia visitata ieri, all’anteprima dell’anteprima, è rimasto fortemente impressionato. Chi l’abbia visitata ieri e in più sia torinese, come lo scrivente, è rimasto particolarmente colpito da un paragrafo nel menu, quello dedicato al corner del gelato:“Starbucks e Alberto Marchetti
Alberto Marchetti significa qualità ed eccellenza nel mondo della gelateria italiana. Storia e passione, tradizione e creatività, semplicità e sperimentazione si incontrano nel suo gelato.” Eccetera eccetera. Diamine. Ma proprio Alberto Marchetti Alberto Marchetti? Quello il cui papà aveva il Bar Italia a Nichelino? Quello che con la moglie Alessia è sbarcato a Torino poco più di dieci anni fa (era il 2007)? Quello che ha Casa Marchetti in piazza Cln?
Ecco, bravi, proprio lui. Il ragazzo di cintura il cui nome adesso sta accanto a quello della più grande catena di caffetterie al mondo, che .potrebbe sbarcare anche a  Torino.  Un po’ come Favino che fa i film con Tom Hanks. Come direbbero gli americani: wow. Come è stato possibile? Lo chiediamo proprio a lui, prendendo una bibita di fronte alla Roastery, ieri pomeriggio, poche ore dopo che il gelatiere ha stretto la mano ad Howard Schultz, fondatore di Starbucks e, si dice, papabile candidato alle prossime primarie presidenziali per i Democratici americani.

Marchetti, come è successo?
“Un caso, suppongo. Attorno a Natale i responsabili della ricerca e sviluppo di Starbucks passano da Torino. Vengono colpiti dal mio negozio Casa Marchetti, entrano, provano il gelato, gli piace, gli interessa il racconto che faccio degli ingredienti. Io non c’ero, ma lasciano un biglietto da visita alla cassa. C’è scritto “Starbucks – Research and Development – Seattle”. Ho richiamato subito.”

E poi?
“Ci siam visti a Milano ma erano molto abbottonati. Ho capito che volevano qualcosa di speciale, e l’abbiamo sviluppato proprio a Torino, nel mio negozio di piazza CLN: il “nitro affogato”, gelati e sorbetti mantecati sul momento con l’azoto liquido e abbinati al caffè”.

Non è il gelato italiano tradizionale
“Volevano qualcosa di unico. Ma ci sono i contenuti che amo del nostro gelato: la freschezza degli ingredienti, la qualità. Trovo straordinario che abbiano deciso di proporre gelato italiano quando potevano portarsi dietro un ice-cream americano o scegliere quello francese”.

Quando è entrato la prima volta in uno Starbucks in vita sua?
“In realtà piuttosto recentemente, a Londra, pochi anni fa. Ma la Roastery di Milano mi piace molto perché è didattica, tutti i ragazzi raccontano il prodotto per filo e per segno, spiegano ai clienti cosa stanno per bere e mangiare”.

Quella di Milano è la prima collaborazione di una serie, come è successo tra Strarbucks e il panificatore Princi?
“Chi lo sa? Naturalmente lo spero. Tutto dipenderà dal riscontro che avrà il gelato. Certo è che il rapporto è in crescita. All’inizio era solo una consulenza, poi gli abbiamo sviluppato tre ricette, ora comunicano il nome “Marchetti” e il gelato lo facciamo proprio noi: è realizzato a Torino e poi mantecato “live” in via Cordusio”.

I gelatieri torinesi sanno bene che appena si diventa grandi scoppiano le polemiche. Le teme?
“Ci possono stare, non mi stupirebbero. Quel che posso dire è che il fatto che Starbucks abbia scelto il gelato italiano fa bene a tutti i gelatieri tricolori. Sarei stato felice avessero preso un qualsiasi produttore di qualità del nostro paese. Hanno scelto me, sono al settimo cielo”.

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