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Mps, un misterioso testimone e il giallo sulla morte di Rossi. "Ho sentito anche uno sparo"

David Rossi
David Rossi
PERCHÉ l’avvocato Luca Goracci non abbia mai rivelato l’incontro misterioso, lo spiega egli stesso: “Era la terza o la quarta persona che si presentava millantando di sapere qualcosa sulla morte di David Rossi, poi sparita nel nulla. E non avrei mai potuto provare niente”. Certo è che nell’episodio della fine violenta del capo della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena ogni particolare rischia di non essere insignificante.
La morte, avvenuta mentre infuriava la bufera giudiziaria sull’acquisizione della banca Antonveneta, la sera del 6 marzo 2013 in circostanze mai chiarite, è stata archiviata due volte come suicidio. E ora è giunto il momento di raccontare anche questo episodio, per assurdo che possa apparire. Ecco allora che cosa è successo nei giorni tra la fine di febbraio e i primi di marzo del 2016 al legale che sta minuziosamente seguendo per la famiglia di Rossi questa vicenda, ostinandosi a non credere alla versione ufficiale.
“Il caso di David”, rievoca Goracci, “era stato riaperto a novembre 2015. A febbraio mi telefona un tizio dicendomi che mi deve parlare del caso Rossi. Non vuole dare il numero di telefono, ma richiama sempre lui. Dopo un appuntamento mancato ci incontriamo nel mio studio: doveva essere l’inizio di marzo 2016. Sui quaranta, un metro e ottanta, distinto.
Dice di essere un imprenditore che lavora nel mantovano. Dice di conoscere Rossi e di farsi vivo solo ora dopo tre anni passati all’estero, perché il caso era stato riaperto”. Ma quale segreto ha da rivelare? “Mi dice “, continua Goracci, “di aver fissato un incontro con David alle ore 18 del 6 marzo 2013, giorno della sua morte. Però di essere arrivato in ritardo di quasi due ore. Dice perfino di ricordare che il suo orologio, quando si trova ai Ferri di San Francesco segna dieci minuti alle otto”. In quel momento David è già a terra nel vicolo. “Il mio interlocutore dice di essere arrivato proprio lì e di aver visto il corpo di Rossi. Fa per avvicinarsi, ma succede l’imprevedibile: viene assalito alle spalle da tre o quattro persone. Dopo una breve lotta si divincola e scappa, mentre sente esplodere un colpo d’arma da fuoco”, ricorda l’avvocato. A questo punto Goracci gli chiede il perché di quell’appuntamento. “Ed è lì”, spiega il legale della famiglia, “che lui comincia a parlare di conti correnti aperti dalla banca con l’intervento di alcuni dirigenti per i finanziamenti necessari alla sua attività imprenditoriale a Brescia e Mantova”. A Mantova anche Rossi si recava spesso, visto che era vicepresidente del Centro Palazzo Te, una Fondazione culturale comunale. Nel racconto affiorano altri particolari: “Lì a Mantova, secondo il mio interlocutore, si frequentavano con cadenze quasi settimanali. E un giorno, forse verso la fine del 2012, lui si sarebbe recato con Rossi a Roma per incontrarsi con una persona che avrebbe consegnato loro una valigetta, e poi David si sarebbe fatto accompagnare all’Ospedale di Siena con quella valigetta”. La storia sembra sempre più sconclusionata. Ma Goracci, dopo l’incontro, ricorda un curioso particolare riferitogli in un’occasione dal fratello di David, Ranieri. E verifica quella circostanza: un giorno del 2012 David si era effettivamente presentato in ospedale, dove il padre era ricoverato, proprio con una valigetta.
Era il 7 novembre. “La narrazione prende poi una piega strana, il tizio comincia a parlare di denaro in nero che veniva dalle fatture di operazioni immobiliari a Mantova. Pare tutto assurdo. Ci salutiamo a finisce lì. Non l’ho più visto né sentito. Ma ricordo bene che si era presentato come Antonio Muto”.
Quando si pronuncia quel nome, a Mantova è automatico associarlo a quello dell’Antonio Muto processato e assolto, tanto in primo quanto in secondo grado, dall’imputazione di contiguità con le cosche mafiose che in quella zona controllano affari, politica e appalti. Oggi ha 55 anni: quando è arrivato da Cutro, nella provincia calabrese di Crotone, era appena un ragazzo che faceva il muratore. Adesso, come lo descrive la giornalista della Gazzetta di Mantova Rossella Canadè nel suo libro inchiesta “Fuoco criminale – La ‘ndrangheta nelle terre del Po”, è “il costruttore più noto e più chiacchierato della città”. A giugno scorso è finito ancora in manette con l’accusa di aver distratto fondi dalla sua società impegnata in una grande iniziativa immobiliare nel centralissimo piazzale Mondadori, poi fallita, in favore di una seconda società creata per una gigantesca speculazione nell’area vincolata di Lagocastello. Operazione che a sua volta ha originato un’inchiesta su presunte pressioni che a dire dei magistrati sarebbero state esercitate su Consiglio di Stato e ministero dei Beni culturali per far cadere quel vincolo. E l’11 dicembre il gip di Roma dovrà decidere se mandare a processo Muto insieme ad alcuni personaggi di primo piano come l’ex senatore democristiano ed ex consigliere della Finmeccanica Franco Bonferroni, l’ex presidente della Commissione Lavori pubblici del Senato Luigi Grillo e l’ex presidente del Tar Lazio Pasquale De Lise. Ma anche l’ex sindaco forzista di Mantova Nicola Sodano, architetto di origini crotonesi che gli inquirenti ritengono cointeressato con Muto nella vicenda Lagocastello. Domanda d’obbligo: che c’entra la banca senese in una vicenda così torbida? Nelle carte dell’inchiesta sulla ‘ndrangheta c’è un pentito il quale riferisce ai magistrati di aver appreso da Muto che “a Siena c’era un altissimo funzionario che sboccava i movimenti, anche se poi voleva la sua parte”. Non è un pentito qualsiasi, ma il commercialista della cosca. Vero o falso che sia, è un fatto che i soldi per piazzale Mondadori, 27 milioni e mezzo, siano arrivati proprio dal gruppo Monte dei Paschi. A Siena Muto, accompagnato da Bonferroni, ha incontrato a più riprese alcuni dirigenti: una volta pure l’ex amministratore delegato Fabrizio Viola. Quanto a Rossi, anche lui è effettivamente di casa a Mantova, dove il Monte ha rilevato molti anni prima la Banca agricola mantovana. Come detto, David è stato designato nel 2011 alla vicepresidenza del Centro Palazzo Te in rappresentanza della banca senese: lo stesso giorno in cui il sindaco Sodano ne è stato nominato presidente.
Le sorprese, però, non sono finite. Quindici giorni dopo quella misteriosa visita del sedicente imprenditore mantovano all’avvocato Goracci, il giornalista Paolo Mondani che sta conducendo un’inchiesta sui grandi debitori delle banche italiane intervista per Report su Rai3 proprio Antonio Muto. E ci manca poco che l’avvocato Goracci, davanti al teleschermo, caschi dalla sedia: “Non era la stessa persona che avevo incontrato. Decisamente un altro”. Qual è allora l’identità del misterioso visitatore? Forse quella di un omonimo? “Antonio Muto costruttori edili fra Mantova e Provincia saremmo una quindicina “, dice l’intervistato a Mondani. Abbiamo controllato. Di Antonio Muto iscritti al registro delle imprese ce ne sono 44, e di questi 4 operano in provincia di Mantova: due sono di Cutro, il terzo di Crotone. Quanti di loro affidati dal Monte dei Paschi?

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