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Il revenge porn è reato, giustizia per Tiziana

Dalla Campania un nuovo caso che tira in ballo Mark Zuckerberg. L’avvocato Sparascio: “Giustizia lenta e strumenti inadeguati contro i colossi del web, sembra di combattere contro fantasmi”

Napoli.  

È scoppiata in lacrime Maria Teresa Giglio, la madre di Tiziana Cantonequando ha ricordato davanti alla stampa nazionale gli ultimi momenti passati con la figlia, morta suicida nel settembre del 2015 a Mugnano di Napoli dopo la diffusione sul web di suoi video privati. 

«Per la prima volta vedo un po’ di luce, qualcuno ha ascoltato il mio grido di aiuto – ha detto la donna che da quando è stata travolta da quella tragedia è diventata portavoce di una battaglia che coinvolge decine di donne, molte delle quali giovani e giovanissime.

Oggi il revenge porn è finalmente un reato. La Camera ha approvato all’unanimità, con 461 voti, l’emendamento al disegno di legge ‘codice rosso’. Il testo prevede che chiunque invii, consegni, ceda, pubblichi o diffonda immagini o video di organi sessuali o a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5000 a 15000 euro. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o il video li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.

Una pagina importante per il nostro paese, un traguardo che segna un punto di svolta per tutte quelle battaglie legali che sono in corso contro gli autori di questo squallido reato, quasi sempre uomini che non si sono rassegnati alla fine di una relazione. Una forma di violenza tra le più barbare, che ha fatto troppe vittime, molte delle quali proprio in Campania.

La pena è aumentata se i fatti sono commessi del coniuge, anche separato o divorziato, o da una persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. La pena viene poi aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza. Il delitto viene punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela e di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale.

Di Maio: «Ora norme complessive su revenge porn». «Bene l’emendamento unitario sul reverge porn. Ora portiamo subito in Aula la legge della senatrice Elvira Evangelista per regolamentare la materia nel suo insieme. Lo dobbiamo alle vittime e alle loro famiglie». Lo scrive su Twitter il leader M5S, Luigi Di Maio.

All’ok unanime alla Camera all’emendamento che introduce il reato infatti, seguirà il ddl al Senato per approvare una legge organica, che accanto agli strumenti di repressione si occupi dei temi della privacy, dell’oblio, della responsabilità delle piattaforme web e dei percorsi di educazione per gli studenti e di formazione per i docenti.

E proprio ai colossi del web è rivolto l’appello della madre di Tiziana. “E’ necessario che le grandi piattaforme del web si rensponsabilizzino rispetto a questo fenomeno – ha detto – perchè non basta il deterrente, ci vuole la massima attenzione anche sui social”.

E sempre dalla Campania arriva infatti un nuovo caso di Revenge Porn che chiama in causa anche Mark Zuckerberg. Il papà di facebook è stato querelato perché a distanza di quattro anni è ricomparso un falso profilo in precedenza oscurato creato da un 51enne di Pompei, che lavorava come badante di persone anziane e disabili in Puglia. La vittima è una donna della provincia di Lecce. Dopo aver troncato quella relazione, la signora, separata e madre di due figli, è piombata in un incubo senza fine.

L’uomo, ora sotto processo al Tribunale di Torre Annunziata, aveva creato un profilo facebook a nome della donna, sul quale aveva postato svariati video e foto che la ritraevano visibile in volto, scattate durante i rapporti sessuali, immagini realizzate nell’intimità della coppia, che mai e poi mai la signora avrebbe reso pubbliche.

Con quel profilo l’ex compagno inviava richieste di amicizia a tutti. Le immagini hanno finito per devastare la vita della donna che è stata costretta a lasciare la famiglia, il suo paese e il suo lavoro. Una donna completamente distrutta, costretta a prendere psicofarmaci per non cedere ai pensieri suicidi.

La donna si è rivolta all’avvocato Giancarlo Sparascio del foro di Lecce per ottenere giustizia. Sparascio presentò un atto di denuncia-querela contro il 51enne di Pompei con la richiesta di sequestro dei dispositivi elettronici. Il profilo venne oscurato 72 ore dopo l’attivazione grazie all’intervento della polizia postale di Lecce. Dopo molti ostacoli e rallentamenti giudiziari il processo è stato traferito per competenza al tribunale di Torre Annunziata. Ma due anni dopo i fatti denunciati quel falso profilo è tornato attivo. Il cinquantunenne deve rispondere dei reati di sostituzione di persona, diffusione di immagini pornografiche e diffamazione aggravata.

Ma a questo punto il legale ha deciso di tirare in ballo anche il colosso del web.
“Purtroppo devo riscontrare la totale inadeguatezza del sistema di controllo e di sicurezza predisposto dai vertici aziendali di Facebook che, in Europa, dispone di un solo ufficio, situato in Germania, deputato alle operazioni di verifica e rimozione di post che vengono utilizzati come strumento di revenge porn. In Italia non sai a chi rivolgerti, è stata un’impresa trovare un riferimento, sembra di combattere contro i mulini a vento, contro dei fantasmi. Tanto che sul fascicolo della mia assistita in un passaggio scritto a matita vicino al nome di Zuckerberg il magistrato ha messo cinque punti interrogativi”.

Il dibattimento è ora stato aggiornato al 15 luglio. L’udienza era stata rinviata già altre volte, e c’è il rischio concreto che se si arriva al 2020 il reato va in prescrizione. Un rischio che l’avvocato Sparascio non vuole correre. La sua assistita, una donna che per questa storia ha dovuto rinunciare a tutto, si è vista letteralmente strappata la dignità e la sua intera vita così come la conosceva.

“Prima di allora la signora non aveva mai usato un social network, nemmeno uno smarthphone, usava un vecchio motorola e non aveva nemmeno whatsapp.ì – aggiunge il legale – Ad insospettirsi fu il fratello che ricevette una richiesta di amicizia da un profilo a nome della donna. Quando vide i contenuti del profilo scoppiò uno scandalo in paese, la famiglia non volle più sapere nulla della signora, anche i genitori e i figli. Non ci può essere un risarcimento per tutto questo – conclude l’avvocato Sparascio – ma il nostro obiettivo è ottenere giustizia e fare in modo che non accada più a nessun’altra donna”.

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