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Di Maio: “Abbiamo 48 ore, no soluzioni raccogliticce”

AGI – Quarantotto ore di tempo. O l’alternativa alla crisi di governo saranno le urne. Luigi Di Maio fissa la dead line per la sopravvivenza dell’esecutivo, esorta i ‘responsabili’ o ‘volenterosi’ a farsi subito avanti, esclude un Conte ter (“se in numeri non ci sono ora non ci saranno nemmeno” per un nuovo governo guidato dall’avvocato), chiude nuovamente la porta a Matteo Renzi e infine ‘blinda’ il capo delegazione M5s e avverte alleati e non: “Il voto sulla relazione del Guardasigilli Alfonso Bonafede è un voto sul governo”.

Nel giorno in cui crescono nel Pd le voci a favore di una ricomposizione della frattura con Italia viva, purché si metta fine ai ricatti e si riprenda la strada del confronto, da M5s arriva una chiusura netta a ogni ipotesi di un ritorno del senatore di Rignano tra le file della maggioranza. Non solo: il ministro degli Esteri lega a doppio filo il futuro della legislatura alle sorti del premier Giuseppe Conte (“tra Renzi e Conte scegliamo sempre Conte”) e mette in chiaro: “Noi stiamo con Conte anche se” questo dovesse comportare un “ritorno al voto”.

Insomma, il ritorno alle urne, anche se sarebbe un rischio per il Paese (“ci giochiamo il Recovery, i vaccini e il futuro della ripresa economica”), non spaventa i pentastellati, è il messaggio lanciato dal titolare della Farnesina, ospite di In mezz’ora in più.


Dunque, si faccia avanti chi in Parlamento “è intenzionato a sostenere il governo”.

Ma il tempo stringe, incalza Di Maio, e l’ora ‘X’ scade mercoledì quando alla Camera, ma anche al Senato (anche se potrebbe slittare a giovedi’) si votera’ sulla relazione del Guardasigilli sullo stato della giustizia: “Dobbiamo risolvere la situazione nelle prossime 48 ore”, perché sia chiaro “il voto su Bonafede è un voto sul governo”.

Di Maio spiega che “siamo tutti al lavoro per cercare una soluzione”, ma se i numeri a sostegno del governo saranno un “qualcosa di raccogliticcio io sono il primo a dire andiamo al voto”.

Intanto, dal fronte renziano continuano ad arrivare messaggi distensivi (non sul voto su Bonafede però, dove dopo il ‘no’ annunciato da Renzi si è passati a un meno tranchant “lo ascolteremo e vedremo” di Teresa Bellanova, ma mancano comunque garanzie sui numeri): la ‘ricucitura’ sarebbe “possibile al 100 per 100 se prevale la ragione”, afferma Ettore Rosato, che ricorda: “Abbiamo ribadito che è necessario un patto di legislatura e che non ci sono veti o preclusioni”.

Insomma, conclude Rosato, “bisogna avere solo il coraggio di sedersi e condividere un patto”, “altrimenti non ci spaventa l’opposizione”.

Se la linea del Movimento 5 stelle sembra essere compatta sul no a Renzi (anche se tra i pentastellati si leva la voce dissonante di Emilio Carelli che ritiene “logico e saggio sedersi intorno a un tavolo con Italia viva”), nel Pd cresce di giorno in giorno la richiesta di dire stop alle ostilità con Renzi e provare a ricucire, anche se “servono fatti”, scandisce Graziano Delrio.

Anche tra i dem non si esclude il rischio urne: “Noi ci siamo sempre stati, Renzi lo sa. Possiamo confrontarci in qualsiasi momento, il problema e’ non farlo con un ricatto, questo non e’ accettabile. Serve un passo indietro di Iv”, spiega il ministro Francesco Boccia, secondo il quale “o noi ritroviamo le ragioni di questa alleanza sociale che abbiamo costruito un anno fa”, oppure “mi pare evidente che non c’è una strada alternativa al giudizio degli italiani. Non è una minaccia, ma una considerazione”.

Quanto a Conte, Boccia mette in chiaro: “In questa crisi non c’è alternativa a Conte premier”. Se “si vuole un confronto vero bisogna creare le condizioni”, sottolinea il vice presidente dei senatori dem, Franco Mirabelli, rivolgendosi ai renziani. E il capogruppo Delrio aggiunge: “Non è l’ora di vendette o rancori, di personalismi”, ma per andare avanti “serve una maggioranza molto solida, poggiata su un progetto vero e solido”, per “mettere in campo una visione strategica, non per galleggiare”.

Anche con i renziani? “La ferita ancora sanguina” ma “io non sono mai per veti definitivi”. Anche il capogruppo Pd al Senato, Andrea Marcucci, spinge per una ricomposizione: “Per rilanciare la legislatura e l’attività del governo fermiamo la guerra e ragioniamo intorno ad un tavolo. Nell’anno del Recovery, facciamo fare un passo avanti al dialogo, rimettere in forza il governo è una priorità”.

Per l’eventuale riapertura del dialogo, pero’, occorre tempo, mentre le lancette dell’orologio scorrono velocemente: tra mercoledì e giovedì (sarà la capigruppo di martedì a decidere la data esatta) il Senato dovrà votare sulla relazione di Bonafede e i 156 sì incassati dal governo martedì sulla fiducia sembrano essere lontani. Si sfila Pier Ferdinando Casini (“Non votero’ Bonafede. Troppi abusi sulle intercettazioni”), sembra volersi sfilare anche Riccardo Nencini, che pure ha votato la fiducia in extremis e grazie al ‘var’.

E il centrista Bruno Tabacci, molto attivo alla ricerca della ‘quarta gamba’ a sostegno di Conte, è a un passo dal gettare la spugna: “Ho fatto quello che potevo ma i numeri restano incerti e a questo Paese non serve una maggioranza raccogliticcia”, spiega. la soluzione, per Tabacci è una sola: “Ho suggerito a Conte un gesto di chiarezza, dimettersi per formare un nuovo governo. E se non ci riesce, si va al voto”. Strada che in molti nella maggioranza, a sentire diverse fonti, avrebbero suggerito al premier. Il quale, pero’, non avrebbe per il momento preso in considerazione questa ipotesi e sembrerebbe deciso ad andare a una nuova conta in Parlamento sul voto sulla giustizia. 

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