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Catalogna, in piazza per il dialogo o in "difesa dell'unità nazionale"

Catalogna, in piazza per il dialogo o in "difesa dell'unità nazionale"
“Parliamo” su uno striscione a Madrid (afp)
A Madrid e Barcellona manifestazioni per una soluzione negoziata della crisi, ma con accenti diversi. Si allunga l’elenco delle società e delle banche che trasferiscono la sede sociale fuori dal territorio catalano
BARCELLONA – “Hablamos?”. Sui cartelli c’è scritto “Parliamo?”. Un appello al dialogo, ma anche all’unità nazionale e alla “difesa della Costituzione”, che 50mila persone hanno lanciato da piazza de Colon e calle de Serrano, a Madrid. Manifestazioni analoghe, convocate dalla Fondazione per la difesa della nazione spagnola (Denaes) si sono svolte in molte altre città. Anche a Barcellona, sotto il palazzo della Generalitat, dove i dimostranti (5500 i partecipanti secondo le autorità) inalberavano cartelli con su scritto “Parlem? Hablamos?”, in catalano e in castigliano. Mentre continua lo scontro istituzionale innescato dal referendum sull’indipendenza della Catalogna del primo ottobre scorso, hanno fatto sentire la propria voce coloro che vogliono difendere l’unità nazionale, ma soprattutto vogliono una soluzione negoziata della crisi, dopo le forti tensioni dei giorni scorsi.
La manifestazione di Madrid. Si è caratterizzata per i toni duri nei confronti degli indipendentisti catalani. A terra è stata collocata una bandiera della Spagna, mentre in sottofondo risuonava dagli altoparlanti la canzone Que viva Espana di Manolo Escobar. Oltre a quelli che invocavano il dialogo c’erano anche cartelli con la scritta “Golpisti” accanto a foto del governatore catalano, Carles Puigdemont, del suo vice, Oriol Junqueras, del capo dei Mossos d’Esquadra, Josep Lluis Trapero. E qualcuno ha gridato anche “Con i golpisti non si dialoga”.
La manifestazione di Barcellona. In piazza Sant Jaume, i dimostranti indossavano magliette bianche e sventolavano bandiere dello stesso colore, come simbolo di pace.

In attesa di capire se c’è una concreta possibilità di mediazione, la crisi continua ad avere ripercussioni significative sul piano economico.
• AZIENDE SI TRASFERISCONO FUORI DALLA CATALOGNA
Si allunga intanto l’elenco delle aziende e delle banche che temendo la secessione trasferiscono la propria sede sociale fuori dalla Catalogna. Gli ultimi casi sono quelli dell’istituto di credito catalano La Caixa che ha deciso di spostarsi da Barcellona a Palma di Maiorca, nelle isole Baleari “finché persisterà l’attuale situazione in Catalogna” e di Aigues de Barcelona(Agbar), la società mista che gestisce la distribuzione idrica a Barcellona, che va a Madrid.
Per il momento, almeno stando alle dichiarazioni ufficiali, il dialogo sembra un miraggio. Madrid ha dato lo stop alla seduta in cui lunedì il Parlamento catalano avrebbe dovuto votare sull’indipendenza. Una mossa cui le autorità politiche di Barcellona hanno risposto riconvocando l’assemblea per martedì.
• AGENTI DELLA GUARDIA CIVIL NELL’AEROPORTO EL PRAT
In questo clima le autorità spagnole avrebbero cominciato a dispiegare forze speciali dei servizi di sicurezza in infrastrutture strategiche in Catalogna, come l’aeroporto El Prat. Secondo l’agenzia di stampa Europa Press, che cita non meglio precisate fonti di polizia, almeno 150 agenti del Gruppo di azione rapida (Gar) della Guardia Civil si trovano in un hangar dell’aeroporto El Prat di Barcellona pronti a far fronte agli indipendentisti che dovessero minacciare di prendere il controllo di infrastrutture come aeroporti, porti e frontiere. La missione delle teste di cuoio, almeno per quanto riguarda lo scalo, è quella di guidare la squadra che rafforzerà la sicurezza della torre di controllo e del centro di controllo del traffico aereo.
• ARTUR MAS: “CI VUOLE TEMPO PER L’INDIPENDENZA”
Una dichiarazione d’indipendenza “è un atto politico istituzionale che formula una chiara volontà”, ma prima che “il Paese funzioni come uno Stato indipendente passa tempo”. Lo ha dichiarato l’ex presidente della Generalitat di Catalogna, Artur Mas. Secondo Mas non c’è “un solo Paese che possa funzionare in modo indipendente dalla notte alla mattina”. Bisogna, ha aggiunto, “applicare criterio politico, intelligenza politica, intuire le reazioni dell’avversario”, e “per contare i voti” ci sono due modi: attraverso un referendum accettato “da tutte le parti”, come “non è accaduto il primo ottobre”. Oppure con “elezioni” che siano “realmente plebiscitarie”.

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