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Tutti uniti per salvare Roma? Attenti, sotto c’è la fregatura

Perché il Pd rilancia la necessità di uno statuto per la Capitale. I Cinque Stelle al bivio, andare avanti da soli o accettare l’ipotesi di intese con le altrre forze poltiiche. Rafforzamento istituzionale del governo della città? Per una volta la Raggi è un passo avanti, ha trovato la scorciatoia con il ministro Minniti

Che abbiamo toccato il fondo lo dice il dibattito, che si va sviluppando in questi giorni sui giornali romani e nazionali, sulla “necessità” di uno statuto per Roma. Corriere della Sera, Repubblica, Messaggero se ne stanno facendo eco dall’alto della sua autorevolezza. E dicono, in sostanza, la stessa cosa, che la Capitale non può più essere considerata una città “come le altre”,a ha bisogno di Regole proprie. Opinione, questa condivisa dai più di ogni singolo partito, di maggioranza o di opposizione che sia. Anche perché l’”unicità” di Roma è sotto gli occhi di tutti (e spiega il numero di turisti, oltre 40 milioni l’anno, che attira dal mondo intero): oltre che “museo a cielo aperto” sull’antica Roma e sul Rinascimento e capitale, sia pure in gravissimo stato di degrado, dello Stato italiano, “ospita” tra le sue antiche mura un’altra entità statuale, la Città del Vaticano, e il Papa, punto di riferimento per più di un miliardo di persone di una, insieme con l’ebraismo e l’islam, delle tre grandi religioni monoteiste. Basta tenere presenti questi soli elementi per capire, e non lo si scopre oggi, quale impegno viene chiesto a Roma Capitale. Da sola, Roma ospita più di 400 ambasciate: quelle presso il Quirinale e la Santa sede ma anche quelle presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’agricoltura, la Fao, e le altre organizzazioni internazionali che hanno come obiettivo di debellare la fame nel mondo. Una “cittadella” umanitaria che alla Capitale conferisce prestigio ma anche oneri molto pesanti.
E poi c’è la Roma “dei romani”. Quella che con il passare degli anni, diciamo da dopo il ”miracolo economico” degli anni Cinquanta-Sessanta, non ha cessato di degradarsi, sotto la spinta degli interessi dei palazzinari, cui si è aggiunto poi sempre più incombente il variegato ceto partitico nazionale, che di Roma ha fatto la sede del proprio “mercato politico”; un po’ come il milanese hotel Gallia lo è stato, per decenni, del calcio mercato nazionale. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Una città senza più anima, o meglio con mille anime. Ognuno, tra quelli che per le ragioni più diverse vi sono approdati, ha pensato soltanto a sfruttarla per i propri disegni, grazie ad una manovalanza – tra i funzionari pubblici, da quelli capitolini a quelli dello stato nazionale – che ad un certo punto, come ha dimostrato da poco anche Mafia Capitale, ha preso il sopravvento su una classe politica che più screditata non si può. Il risultato è stato, nel giugno dell’anno scorso, l’ imprevisto e clamoroso successo, alle elezioni per la guida della città, nella persona di Virginia Raggi, del Movimento Cinquestelle. Un’elezione accolta come l’inizio di una rivoluzione che, purtroppo, finora non c’è stata. Bloccato da contrasti interni e da “trabocchetti” sotterranei di chi non voleva cedere il potere, il M5S ha fatto ben poco. Il degrado della Capitale è sempre più profondo, l’amministrazione capitolina e le sua partecipate, Ama e Atac in testa, sono rimaste nel secolo scorso, l’indice di corruzione è da terzo mondo.
Ecco allora che salta fuori la “necessità” dello statuto per Roma. Che, come abbiamo spiegato, sarebbe giustificato.Ma che, tirato fuori dopo un anno di conduzione pentastellata del Campidoglio, non convince del tutto. O meglio: l’impressione è che i partiti tradizionali – guidati da quel partito democratico che avendo governato Roma quasi da solo negli ultimi trent’anni è il principale responsabile della situazione romana di oggi – ne parlino soprattutto per “dare addosso” al movimento grillino. Sembrano dire ai romani: avete voluto provare un’alternativa a noi, ma adesso non potete fare altro che rendervi conto che alternative praticabili non ne esistono. I Cinquestelle non sanno governare, noi sappiamo farlo e vi proponiamo anche la vera soluzione: lo statuto speciale di Roma Capitale, proprio come lo hanno le altre grandi capitali, da Parigi a Londra a Berlino, città che “funzionano” benissimo. E a questo la politica tradizionale, che quasi certamente con il ritorno al sistema elettorale tradizionale proporrà a livello nazionale un governo di coalizione destra-sinistra (un Forza Italia – Pd ?), aggiunge una promessa ancora più corposa: un’intesa Stato – Roma capitale nella quale il governo nazionale si presenta come il garante della soluzione dei problemi di bilancio di Roma Capitale. Che non sono poca cosa: il debito della città costerà ai romani, per ancora 30 anni, 200 milioni di euro l’anno di maggiorazione Irpef.
Il PD, che attraverso il capogruppo dei senatori Luigi Zanda ha lanciato l’idea del rafforzamento istituzionale di Roma – che trova d’accordo moltissimi intellettuali, da Portoghesi a Bonito Oliva, da Carandini a Cassese -, ha chiesto agli altri partiti una “union sacrée” per salvare la Capitale. Nel mirino i Cinquestelle, posti ancora una volta davanti al dilemma se andare avanti da soli o se accettare intese con gli altri partiti; e nel primo caos è evidente che, già alle prossime elezioni politiche, si potrebbe assistere a un tutti contro il M5S che rifiuta un impegno collettivo definito indispensabile. Forse però, almeno stavolta, la tanto criticata sindaca Raggi potrebbe non uscirne come al suo solito malconcia. Grazie alla “emergenza migranti”, dopo lo sgombero dell’edificio di via Curtatone, è infatti riuscita ad avviare con il ministro dell’interno del PD, Marco Minniti, un dialogo che si basa proprio – almeno in questo campo – sulla collaborazione istituzionale tra Roma Capitale e governo perché, ha affermato la sindaca – “Roma non può essere un comune come tanti, e ha bisogno di un regime particolare”. Posizione condivisa da Beppe Grillo, per il quale Roma “ha bisogno, come le altre metropoli europee, di un contatto diretto con lo Stato”. Non resta che aspettare, per vedere chi bluffa.
Carlo Rebecchi

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