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Milano, i racconti dei profughi della nave Diciotti: ”In Libia la nostra vita è stata dura, ho visto morire molta gente”

Josief figlio di contadini che ha speso 5mila euro per arrivare in Europa e dice: “sono felice di essere in Italia, anche se ci hanno detto che abbiamo potuto scendere dalla Diciotti solo perché il Papa ci ha voluti”


Mi chiamo Josief, ho 25 anni, sono grato all’Italia di avermi accolto”. Ha occhi grandi e spaventati il ragazzo eritreo che parla nome degli altri 7 migranti reduci dalla nave Diciotti accolti da oggi nel centro d’accoglienza della Caritas Ambrosiana Casa Suraya, a Milano. I giovani arrivati da Roma nella notte sono ospiti della Conferenza episcopale italiana e raccontano il loro arrivo in Italia: “Siamo stati felici quando abbiamo visto arrivare la nave mentre eravamo in mezzo al mare su un barcone che faceva acqua da tutte le parti. C’era vento e mare forte, così quando sono riusciti a portarci a bordo e abbiamo visto la terra abbiamo pensato di essere finalmente salvi. Ma il capitano della nave che ci aveva salvato ci ha comunicato che non potevamo sbarcare perché non c’era l’autorizzazione del governo italiano”.

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Con Josief ci sono altri tre ragazzi di vent’anni e quattro donne che non riescono a parlare con la stampa. Sono state tutte violentate in Libia e hanno visto morire i loro bambini dopo il parto per gli stenti. “In Libia la nostra vita è stata molto dura – aggiunge il 25enne, figlio di contadini che ha speso 5mila euro per arrivare in Europa -. Io ho atteso lì in carcere per oltre un anno, sono stato torturato e umiliato, ho visto morire molta gente. Per questo sono felice di essere in Italia, anche se ci hanno detto che abbiamo potuto scendere dalla Diciotti solo perché il Papa ci ha voluti, dato che c’è un nuovo governo in questo Paese che non vuole accogliere più profughi. Non sapevamo altro, abbiamo aspettato sperando che ci facessero scendere prima possibile. Sono in viaggio da tre anni e mezzo come i miei compagni. Siamo stanchi e speriamo solo in un futuro e in un paese diverso dall’Eritrea, dove non si può vivere e dove non c’è libertà”.

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Alla domanda su come è stato trattato da quando è stato salvato in mare, Josief risponde con un sorriso: “Molto bene, sono stati gentilissimi sulla nave per tutto il tempo che siamo stati a bordo della Diciotti. In Sicilia i hanno dato anche soldi per chiamare a casa ed avvertire i parenti. Ho provato a telefonare a mia mamma ma non c’era linea telefonica attiva e quindi non ho potuto rassicurarla che sono sano e salvo. L’ho detto ad altri conoscenti che spero la informino. E’ un anno che non sento i miei che hanno procurato i soldi per farmi partire”.

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