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Maggio, il mese della salute mentale: di Lodovico Berra

Mi dispiace dovervi deludere, ma la salute mentale non esiste. La nostra mente è in un permanente stato di tensione e di trasformazione, per cui viviamo in una condizione mentale di precarietà e instabilità. Succede che per alcuni periodi permanga uno stato di malessere, in altri di benessere, ma dobbiamo accettare il fatto che viviamo costantemente al confine tra malattia e salute.

Demarcare in modo chiaro la linea di confine tra normalità e patologia nell’ambito della psicologia è un problema complesso e non così scontato come spesso si vuol far credere.

Karl Jaspers, nel testo Psicopatologia Generale introduce l’idea nietzscheana che la “salute non esiste”. L’uomo è un essere malato a causa della sua stessa incompiutezza e indeterminatezza, a causa della sua stessa libertà.

Per Kierkegaard l’uomo è per la sua stessa essenza condannato alla disperazione e quindi immerso in un costante stato di angoscia e malessere (La Malattia mortale, 1972, p. 626). È così anche per Cioran, la cui visione nichilista lo porterà ad affermare che “la vita non è che una prolungata agonia” (Al culmine della disperazione, 1988, p. 55) evidenziando la condizione di persistente tormento interiore che caratterizza l’esistenza.

In questo senso la malattia è un momento costitutivo della vita stessa e il malessere che ne deriva una norma imprescindibile.

Potremmo affermare che la nostra tendenza a considerare normale e giusto uno stato di salute non sia che il tentativo di opporsi alla natura dolorosa della nostra esistenza.

Se invece utilizziamo come criterio di salute il grado di libertà dell’individuo, il concetto assume nuova forma.

Secondo la visione fenomenologico-esistenziale, la malattia è il segno della perdita della propria libertà (May e Yalom 1995, p. 379) intesa quale capacità di autoprogettarsi, di autodeterminarsi, di dispiegare la propria esistenza in tutte le forme possibili, di conquistare la propria soggettività, e di rapportarsi in modo ottimale con se stessi e con il mondo.

Ma per Kierkegaard e Sartre l’uomo non è libero perché non ha vere possibilità; l’infinità dei possibili, di cui parla il primo, e l’equivalenza dei possibili, di cui parla il secondo, conducono alla mancanza di una reale scelta tra possibili e l’uomo è quindi, in questa visione, costituzionalmente malato.

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