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I cdc e il vincolo esterno – Gianluigi Leone

I cdc e il vincolo esterno – Gianluigi Leone

Intervento dell’avv.to Mario Giambelli di Pavia all’incontro del 21 gennaio 2017 dei comitati CDC (coordinamento per la democrazia costituzionale).

Un post di Gianluigi Leone

Dopo la schiacciante vittoria dei NO al Referendum del 4 dicembre 2016, i rappresentanti dei numerosi comitati del CDC disseminati su tutto il territorio nazionale si sono dati appuntamento a Roma per discutere sul cosa fare da grandi.
Sul palco romano, dopo gli interventi “tecnici” di alcuni giuristi di fama nazionale, le diverse voci del CDC hanno ripetuto all’unisono la volontà di “non disperdere” la capacità organizzativa e il patrimonio politico accumulati grazie all’impegno di numerosi attivisti desiderosi di salvare la nostra beneamata Carta. Già, salvare. Da chi o da cosa è venuto gradualmente alla luce durante l’avvicendarsi degli interventi, tra tentativi di “ricondurre al tema“, da parte di alcuni imbarazzati astanti, e applausi di approvazione, da parte del resto dell’uditorio più disposto a gridare pubblicamente l’impudicizia del re: ci riferiamo naturalmente al problema dell’incompatibilità tra Costituzione e Trattati dell’Unione Europea.
I comitati CDC, inquadrabili per lo più all’interno di un tradizionale bacino elettorale de sinistra, nella consapevolezza di aver semplicemente concorso ad una vittoria dei No (vittoria ottenuta anche grazie ai voti provenienti da destra), si trovano costretti a fare i conti con un problema finora trascurato dalla quasi totalità della sinistra italiana. La destra, invece, si è distinta in un’esposizione semplice e demagogica del problema, come mero espediente acchiappavoti.
L’imbarazzo è comprensibile.
Il problema del vincolo esterno non è invece sfuggito ad alcuni solitari e infaticabili studiosi del diritto e della storia economica della Repubblica Italiana. Uno tra questi è l’avv. Mario Giambelli, del quale vi proponiamo il breve intervento di oggi. [Gianluigi Leone]

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=52lD5CSwkac]
Mario Giambelli è l’estensore dell’appello sotto riportato, scritto in previsione dell’incontro odierno.
«Carissime amiche e colleghe, carissimi amici e colleghi del Comitato direttivo nazionale del Coordinamento Democrazia Costituzionale;
accolgo con grande piacere e faccio mio – anche a nome di molti colleghi avvocati pavesi, nonché di amiche, amici e conoscenti pavesi e milanesi che hanno attivamente militato per l’affermazione del NO al referendum costituzionale del 4 dicembre scorso – l’appello di Lidia Menapace e dei Comitati trentini che ci invita a far tesoro della straordinaria esperienza della campagna referendaria per dare vita ad un nuovo fronte politico con il compito di ricollocare l’attuazione dei principi fondamentali della Costituzione al centro degli obiettivi politici del Paese.
Attuare i principi fondamentali della Carta costituzionale significa, come sappiamo, eliminare le diseguaglianze sociali di partenza e le situazioni di privilegio (art. 3, comma 2°, Cost.), elevare la condizione delle categorie sotto protette, creando le condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro. Significa individuare nella piena occupazione e negli interventi di natura pubblicistica ad essa finalizzati il mezzo per liberare le persone dal bisogno, consentendo ad esse di partecipare effettivamente all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, cioè il mezzo per rendere effettiva l’uguaglianza e, con essa, la democrazia.
Significa programmazione economica ed intervento dello Stato nell’economia, per assicurare la funzione sociale dell’impresa. Significa adempiere ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, assicurare i diritti e le tutele sociali previsti dalla c.d. “Costituzione economica” (art.li 35-47 Cost.). Per realizzare questo progetto occorre tuttavia sciogliere il nodo del “vincolo esterno”, sul quale si è preferito glissare durante la campagna referendaria, nonostante la principale ragione della “d€forma” costituzionale, esplicitata dallo stesso Renzi, nero su bianco, nel testo della relazione accompagnatoria alla Legge di revisione costituzionale pronunciata in Senato l’8 aprile 2014, fosse proprio “l’esigenza di adeguare l’ordinamento dello Stato alle necessità della governance economica dell’Unione europea […] ed alle relative stringenti regole di bilancio quali le nuove regole del debito e della spesa” (leggasi Fiscal Compact). Una ragione, dunque, di puro servilismo ad un sistema di potere notoriamente non democratico (ed, anzi, antidemocratico) che impone le sue regole, minacciando gli Stati che non le dovessero eseguire, che risponde agli interessi di quello che Beniamino Andreatta, in un’intervista pubblicata nel 1991 sulle colonne del Sole24ore e riguardante il c.d. “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia, definì il “quarto potere”, cioè il “potere monetario” (la grande finanza speculativa e le multinazionali economiche) e che opera senza alcuna legittimazione democratica, senza alcuna responsabilità politica, “bypassando le democrazie nazionali” (come afferma, senza mezzi termini, l’attuale Ministro della Giustizia Andrea Orlando): e “tenendosi al riparo dal processo elettorale” (M. Monti, Intervista sull’Italia in Europa, di F. Rampini, p. 40 e 50-51).
Per dare vita ad un nuovo fronte politico che reclami l’attuazione dei principi fondamentali della Costituzione, occorre cioè prendere coscienza del fatto che, con la ratifica dei Trattati UE, lo Stato italiano ha trasferito e ceduto agli organi di comando dell’Unione (Commissione Europea, Consiglio e BCE) parti essenziali della sua sovranità: il potere di assumere tutte le decisioni che riguardano la politica monetaria e fiscale (art. 127 TFUE), gli indirizzi di politica economica (art. 121 TFUE) e la politica di bilancio (art. 126 TFUE e Fiscal Compact). Occorre comprendere che le più importanti funzioni sovrane sono state trasferite, in palese violazione del principio democratico sancito dall’art. 1 Cost. (in quanto la dichiarazione di appartenenza della sovranità al popolo implica la permanenza dell’esercizio di questa nel popolo, come contrassegno essenziale ed ineliminabile del regime democratico), ad apparati di comando sovranazionali che, essendo composti da nominati e non da eletti, sono privi di legittimazione democratica ed irresponsabili di fronte al popolo, ma estremamente sensibili agli interessi della grande finanza speculativa e delle multinazionali economiche.
Bisogna cioè convincersi che tali apparati (al cui vertice siedono sempre personaggi legati a doppio filo alle grandi banche d’affari), perseguendo in modo ossessivo il prioritario obbiettivo (per l’UE) della cd. “stabilità monetaria e dei prezzi” (art.li 3 TUE, 119, 120, 127 TFUE), ci impongono le politiche economiche neoliberiste (nella loro peggiore versione, quella “ordoliberista”) codificate nei trattati UE, assolutamente inconciliabili ed anzi contrapposte agli obiettivi costituzionali della piena occupazione e dell’eguaglianza sostanziale.  Occorre, in definitiva, avere ben chiaro che la permanenza dell’Italia nella UE-UEM comporta la disattivazione di quei principi fondamentali della Carta costituzionale che, giustamente, vorremmo ricollocare al centro degli obiettivi politici del nostro Paese. Il rilancio del modello di democrazia sociale della nostra Costituzione passa necessariamente dall’abbandono di un modello sociale ad esso antitetico: quello codificato nei Trattati Ue. Passa dalla presa d’atto che l’Unione europea, al di là della sua maschera idealista-propagandistica (l’ideologia dell’integrazione europea, foriera di pace e benessere), è in realtà la restaurazione del sistema di potere capitalista, oligarchico-plutocratico, ultraliberista dell’Italia prefascista. E passa dalla constatazione: – che non ha senso parlare di eguaglianza sostanziale in un sistema liberista, che amplifica le differenze sociali; – che è tempo perso ragionare di diritto al lavoro, di piena occupazione, in un ordinamento che considera il lavoro come merce (art. 151 TFUE), che non lo concepisce come un diritto, ma come una libertà (il “diritto di lavorare”, collocato, nella Carta dei diritti fondamentali della UE, tra le libertà: cfr. art. 15 della stessa Carta) e che stabilisce, anno per anno e per ogni Stato, un “tasso di disoccupazione non inflazionistico”, ovvero un (elevato) livello di disoccupazione funzionale all’obiettivo della stabilità dei prezzi; – che non è nemmeno dato parlare di programmazione economica, di intervento dello Stato nell’economia, di funzione sociale dell’impresa, in un ordinamento che vieta gli aiuti di Stato (art. 107 TFUE) alle imprese ritenute strategiche, che vieta il finanziamento monetario degli Stati e degli Enti pubblici (art.li 123 e 124 TFUE), che non si fa carico degli impegni assunti dalle amministrazioni statali, locali e pubbliche degli Stati membri (art. 125 TFUE), che impone vincoli insensati e deleteri di bilancio pubblico (art. 126 TFUE e relativo protocollo; Fiscal Compact), che considera l’indipendenza della Banca centrale dal potere politico uno dei suoi principi cardine (art. 130 TFUE), che sottrae agli Stati la sovranità monetaria (art. 127 TFUE); – che di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale non v’è traccia alcuna nei Trattati, che sono invece il regno della concorrenza (valore supremo dell’Unione: art.li da 101 a 118 TFUE), cioè del tutti contro tutti, della legge del più forte, delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni. Il rilancio che tutti auspichiamo passa, in altre parole, dalla consapevolezza che, all’interno dell’Unione europea, di Stato sociale, di democrazia costituzionale non è nemmeno consentito parlare; passa dalla consapevolezza che questa UE non è riformabile in senso democratico e sociale, perché una democrazia costituzionale a livello sovranazionale non esiste, non è mai esistita e mai esisterà sinché esisterà questa UE, concepita proprio allo scopo di disattivare e poi cancellare, a colpi di violente crisi economiche, le democrazie costituzionali del secondo dopoguerra e restaurare il regime oligarchico-liberista ante crisi del 1929.
La richiesta di aiuto di quell’81% di NO giovanili necessita, giustamente, di una pronta risposta da parte di un nuovo fronte politico che sappia coinvolgere giovani e meno giovani, esponenti del M5S con i quali abbiamo condiviso la campagna referendaria ed ogni persona competente, onesta, responsabile. L’efficacia della risposta dipenderà tuttavia dalla capacità e dalla decisione con le quali riusciremo ad affrontare e risolvere la questione del “vincolo esterno”. Per riprendere il percorso tracciato dalla nostra Costituzione, ovvero il percorso del progresso sociale e democratico sciaguratamente interrotto per “entrare in Europa”, è necessario ed urgente recedere dai Trattati UE. E’ il compito a cui siamo stati chiamati, anche dal risultato referendario. Ce lo impone la stessa Costituzione, per il rispetto e la riaffermazione dei suoi principi fondamentali. Non sprechiamo questa grande ed irripetibile occasione storica per riscrivere il futuro del nostro Paese.
Mario Giambelli Gallotti (avvocato – Pavia)
Altri firmatari:
Giuseppe Amini; Massimo Bernuzzi; Roberto Bertelè; Anna Biancalani; Marco Bonin; Enea Boria; Marina Calafiore; Federica Caracciolo; Marco D’Urso; Fiorenzo Fraioli; Gianluigi Leone; Massimiliano Masperi; Roberto Mora; Marcello Ravetta; Alessandro Roccia; Matteo Rovati; Mauro Scardovelli; Luca Toneatto. Riscriviamo assieme il futuro del nostro Paese, il nostro futuro.
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