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Fiorenzo Fraioli: Giù le mani dalle Generali!

Io non sono un economista ma ho letto Topolino. Mi perdonerete dunque se ardirò parlare di economia (e di politica), lasciando a voi l’onere di decidere se quanto di buono o errato scrivo dipenda dall’aver letto Topolino o dal non essere un economista.
Presumo che abbiate sentito parlare del sistema TARGET2. Per una rinfrescata vi segnalo questo breve articolo.
Quelli riportati nel grafico sottostante sono i saldi T2 dei 3+1 (l’Italia) paesi europei nei quali si svolgeranno, nel 2017, le elezioni politiche: Olanda il 15 marzo, Francia il 23 aprile, Germania nell’autunno 2017. E probabilmente l’Italia. I dati (prelevati da qui) sono aggiornati al luglio 2016. A quella data, il deficit complessivo verso la BCE di Spagna, Francia e Italia era di 632,9 mld di €, a fronte di un surplus tedesco di 649 mld di € e olandese di 114 mld di€. In percentuale, la Spagna e l’Italia sono responsabili del 48% di tale deficit, la Francia del restante 4%.  In valori assoluti, la Spagna è in deficit di 303 mld di €, l’Italia di 301 mld di €, la Francia di 27 mld di €.

Nel grafico sono riportati i valori assoluti dei saldi T2, ma credo valga la pena dare un’occhiata al rapporto percentuale tra saldi T2 e il PIL di ogni paese. La tabella seguente, ricavata anch’essa dal database di eurocrisimonitor.com, ci dà indicazioni utili.

saldo T2 PIL %T2/Pil
Portugal -66,258 253,617 -26,1%
Greece -80,288 330,436 -24,3%
Spain -303,89 1481,32 -20,5%
Italy -301,74 1910,35 -15,8%
Latvia -4,9363 37,739 -13,1%
Austria -33,37 368,854 -9,0%
Belgium -18,054 432,311 -4,2%
Ireland -6,5396 187,726 -3,5%
Lithuania -1,326 66,08 -2,0%
Slovakia -2,4905 140,652 -1,8%
Malta -0,1556 11,588 -1,3%
France -27,278 2350,23 -1,2%
Slovenia -0,5252 62,87 -0,8%
ECB -130,05 16713,9 -0,8%
Estonia 1,09 28,461 3,8%
Netherlands 113,812 735,546 15,5%
Cyprus 4,17095 25,614 16,3%
Germany 649,175 3255,43 19,9%
Finland 48,5611 208,515 23,3%
Luxembourg 158,296 46,781 338,4%

I record sono ordinati a partire dal paese con il rapporto deficit T2/PIL più grande a quello con il surplus maggiore. Il primo dato che salta all’occhio è il mostruoso surplus del Lussemburgo, il 338% del Pil!
Ora, avendo letto Topolino, sintetizzerei la situazione dicendo che il valore assoluto dei saldi T2 è indicativo dei costi complessivi per l’eurosistema in caso di default di ogni paese, e il rapporto percentuale tra saldi T2 e Pil è indicativo di quanto ogni paese soffra a restare nella gabbia dell’euro. Lo chiameremo “indice di sofferenza. I due paesi che presentano contemporaneamente un deficit e un indice di sofferenza entrambi molto alti sono la Spagna e l’Italia. La Francia ha un deficit T2 e un indice di sofferenza limitati. La Germania e l’Olanda sono nettamente in surplus, con un “indice di benessere” rispettivamente del 19,9% e del 15,5%.
Ora in Spagna si è già votato e i partiti sistemici hanno mantenuto il controllo. La Francia andrà al voto in primavera e, in caso di successo della Le Pen, l’eurozona potrebbe rapidamente collassare, ma di ciò non ho molta fiducia. Se in Francia i partiti sistemici dovessero tenere, probabilmente il voto in Italia slitterebbe al 2018. Dal voto in Germania non credo ci si possano aspettare grandi sorprese. Dunque tutto lascia pensare che la vera partita si giocherà nel 2018 in Italia.
L’Italia ha un indice di sofferenza molto alto (-15,8%) e un saldo assoluto T2 potenzialmente disastroso per l’eurosistema in caso di uscita, dunque questa possibilità verrà contrastata in ogni modo. Il problema è costituito dal fatto che, per ridurre l’indice di sofferenza, è necessario proseguire su un percorso deflazionistico, così da rendere nuovamente competitive le nostre esportazioni contenendo allo stesso tempo le importazioni (l’aumento automatico dell’IVA va in questa direzione) ma così facendo si compromette la crescita economica, il che provoca, oltre a una crescita della disoccupazione, un aumento del debito pubblico, ed espone il sistema bancario nazionale al rischio di una crisi sistemica. Per quanto riguarda il debito pubblico ricordo che, con il passare del tempo, diventerà sempre più difficile, in caso di uscita unilaterale dall’euro, ridenominarlo in nuove lire a causa della scellerata introduzione delle Clausole di Azione Collettiva (CACS), un meccanismo reso obbligatorio dalla ratifica del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) in base al quale il 45% delle nuove emissioni di titoli di Stato, a partire dal 1 gennaio 2013 e con scadenza superiore ai 12 mesi, potrebbe non essere soggetto alla lex monetae.
L’esplosione dei saldi T2 costituisce la prova empirica del fatto che l’eurosistema è intrinsecamente instabile, in quanto non prevede nessun meccanismo automatico che limiti l’indebitamento privato verso l’estero dei paesi membri prima che esso raggiunga livelli potenzialmente distruttivi, l’unica forma di intervento essendo costituita da decisioni politiche di natura emergenziale, imposte dalla sovrastruttura tecnocratica europea. Da qui la necessità di comprimere la democrazia e contenere ogni forma di dissenso manipolando l’informazione e mettendo a tacere le voci critiche. L’idea di fondo dell’eurosistema, ovvero che i meccanismi “naturali” di mercato, anche grazie a un aumento sensibile degli interscambi di merci e servizi – che non si è verificato – sarebbero stati in grado di contenere gli squilibri anche in assenza di regole di clearing degli stessi, è stata clamorosamente smentita dai fatti. Tutta la politica economica dell’eurozona è così finita nelle mani dell’Unione Europea, in una situazione in cui nessun paese, nemmeno la dominante Germania per ragioni di consenso interno, ha la forza di imporre una soluzione cooperativa.
Le cose sono andate avanti finché si è pensato che, comprimendo la crescita economica dei paesi in deficit, e quindi colpendo salari, pensioni e welfare, i mitici meccanismi naturali di mercato si sarebbero attivati: la famosa “austerità espansiva” di Mario Monti (se preferite: le armi segrete di mussoliniana memoria). Ma quando si è cominciato a capire che questa politica non portava a nessun risultato, e anzi ha avuto il duplice effetto di far crescere i movimenti cosiddetti populisti ed euroscettici, e di amplificare le sofferenze bancarie nei paesi in deficit, il generale consenso delle nostre classi dirigenti ha cominciato a vacillare. Un segnale importante, in tal senso, ci viene dall’editoriale del 30 dicembre 2016 di Roberto Napoletano (direttore de Il Sole 24 Ore dal 24 marzo 2011, direttore editoriale del Gruppo 24 ORE dal 1° marzo 2012 e, dal 19 giugno 2013, direttore dell’emittente Radio24, dell’agenzia di stampa Radiocor, di Guida al Diritto e di tutte le testate dell’Area Professionale. Presiede, inoltre, il comitato scientifico di tutti i master della Business School del Sole 24 Ore.).
Scrive il Direttore del Sole24ore: “Intorno al tavolo c’è posto per tutti ma non per noi. Questa è l’Europa che la politica italiana non può più accettare perché alla fine di tale circolo vizioso lo scenario più probabile è che le banche francesi si comprino quelle italiane, finanzino, ben pagando, l’acquisto di Made in Italy e, magari, mobilitando unitariamente il sistema francese, fatto di credito, compagnie assicurative, tecnocrati e politica, arrivino a stringere il collo anche alle Generali.
Insomma, comprimere salari, pensioni e welfare va bene, ma giù le mani dai gioielli di famiglia del capitalismo italiano! Giù le mani dalle Generali! L’editoriale risuona come un ultimatum a Pier Carlo Padoan e al governo Gentiloni, ma è tragicamente tardivo. La memoria corre alle trattative che sfociarono nell’armistizio di Cassibile, quando la grande borghesia italiana, dopo aver sostenuto per un ventennio l’avventura mussoliniana fino all’entrata in guerra a fianco dei tedeschi, davanti all’evidenza della sconfitta, e nel tentativo di riaccreditarsi come ceto dirigente del paese a guerra finita – intento parzialmente riuscito proprio a causa del ritardo nell’agire e delle indecisioni susseguenti all’estromissione di Mussolini – voltò le spalle all’alleato nazista. Allora si trattava di salvare le fabbriche e le infrastrutture produttive, oggi sono gli assets finanziari, ma la sostanza non cambia.
Le analogie con quel periodo, mutatis mutandis, sono impressionanti. Abbiamo la Spagna che, come ai tempi del dittatore Franco, riesce a tenersi fuori dall’occhio del ciclone (basti pensare ai deficit di bilancio che le sono stati concessi, e negati invece a noi), una Francia divisa e indecisa, e la guerra in Africa. Infine gli inglesi si sono sfilati, l’America è scesa in campo e la Russia preme sul fianco sud.
Il grido di battaglia del capitalismo italiano, lo ripetiamo, è “Giù le mani dalle Generali!“. All’orizzonte c’è un 8 settembre finanziario. E la ricostruzione.

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