EXITO STYLE

Farmacie, Bologna vende la sua parte: addio alle comunali

Al pubblico era rimasto il 15% delle quote, con la cessione incasserà fondi, ma rinuncerà alla divisione degli utili

Entro l’estate, al massimo a settembre, le farmacie comunali di Bologna diventeranno totalmente private. Il Comune venderà le azioni ancora in suo possesso, meno del 16% della società Afm, con un’asta pubblica. Lo ha annunciato ieri Palazzo d’Accursio durante una commissione sul tema, confermando una scelta già presa nel 2015 ma che fino a oggi era rimasta lettera morta per alcune leggi nazionali che impedivano la cessione. Ora quei limiti non ci sono più, perché sono stati rimossi l’anno scorso, e dunque l’amministrazione fa il definitivo passo in avanti, completando un processo iniziato in realtà nel lontano 1997, quando l’allora giunta guidata dal sindaco Vitali mette sul mercato le farmacie comunali nate quarant’anni prima, nel 1957, con l’apertura della prima farmacia comunale in Piazza Maggiore. Una decisione che viene giudicata «un errore strategico» dai sindacati, ma che raccoglie anche la contrarietà di M5s, Lega e Forza Italia.
Attualmente la società Afm spa ha sede all’Interporto ed è controllata all’80% da Admenta Italia, società a sua volta di proprietà dei tedeschi di McKesson Europe, l’ex gruppo Celesio, con sede a Stoccarda. Il Comune ha il 15,86% della società, che gestisce 35 farmacie in tutta la provincia, di cui 21 nella città di Bologna, con insegna Lloyds. Il resto del capitale è in mano ad altri comuni tra cui Calderara, Casalecchio, San Giovanni in Persiceto e San Lazzaro. Il lavoro dell’advisor incaricato dal Comune, che deve valutare il prezzo delle azioni, terminerà entro gennaio e poi si potrà procedere all’asta «entro l’estate, al più tardi entro settembre», hanno spiegato ieri i dirigenti comunali, mentre Admenta potrà far valere il diritto di prelazione. Bologna ha dato la disponibilità a fare da capofila anche per altri Comuni interessati e si sono fatti avanti Persiceto e Casalecchio. «La presenza come soci di minoranza non ci consente di avere un vero controllo – spiega l’assessore al Bilancio, Davide Conte –. Uscire dalla società non vuol dire comunque perdere il controllo o trascurare le farmacie, perché continueremo a vigilare col contratto di servizio. E non lo facciamo nemmeno per mettere a posto i conti, la posta non è scritta a bilancio».
«Non ci saranno riflessi sulla governance delle farmacie», conferma Domenico Laporta, ad di Afm. Non ci sono ancora stime

sul possibile guadagno del Comune, che incasserà dalla vendita delle quote ma dovrà rinunciare ai 300mila euro di dividendi che riceve ogni anno da Afm, che ha un fatturato di 60 milioni di euro, un utile di 3,3 milioni e circa 200 dipendenti. Da definire la sorte degli immobili sede delle farmacie: quelle in concessione, come Piazza Maggiore, resteranno di proprietà del Comune, le altre rimarranno alla società e contribuiranno a stabilire il prezzo delle azioni.

POST A COMMENT