EXITO STYLE

CHI HA UN FALSO PROFILO SU FACEBOOK RISCHIA FINO A UN ANNO DI RECLUSIONE

“Chi crea falsi profili (detti anche “fake”) su Facebook è punibile sia civilmente che penalmente”. Infatti, per questa tipologia di reato la legge prevede fino ad un anno di reclusione. Lo ha affermato  la Corte di Cassazione che in una recente sentenza ha portato alla condanna di una donna che aveva creato su Facebook un falso profilo con un nome di fantasia e, con questo account, aveva molestato una vicina di casa.
Un falso profilo può essere penalmente perseguibile – Shutterstock
Dobbiamo però precisare che non configura l’ipotesi di un reato, sanzionabile penalmente, la condotta di chi crea solo e intenzionalmente account falsi sul social network, anche se a tal proposito è bene precisare che le regole accettate in fase di registrazione sono chiare e sanciscono espressamente il divieto di utilizzare dati ed informazioni non corrispondenti al vero.
In una simile ipotesi dunque, solo la società fornitrice del servizio – nel caso di specie, Facebook Inc. – potrebbe adire il giudice per veder condannare l’utente “scorretto”.
La violazione, in questo particolare caso della donna molestatrice, è quella dell’articolo 494 del codice penale che, testualmente, afferma: “Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno”.

Creare falsi profili sui social network (e dunque non solo su Facebook) per occultare la propria identità pubblicare frasi offensive (es. diffamazioni, calunnia, minacce o molestie) che possono ledere la reputazione di qualcuno, può costare caro in quanto va a commettere il reato di “Sostituzione di persona”.
Per la Polizia postale, che è composta da informatici esperti, è alquanto semplice individuare le persone sull’web. Infatti, chi si iscrive a Facebook lascia sempre una traccia di sé. Per esempio, tramite l’indirizzo mail o il numero di cellulare con cui si effettua la registrazione possono partire le indagini.
COME SI DENUNCIA UN FALSO PROFILO 
Si inizia con il risalire all’ID utente (il codice numerico identificativo: una sorta di numero di targa virtuale del soggetto che lo usa). Una operazione più semplice di quanto si pensi per chiunque e che può compiere la stessa persona che ha subito la molestia.
Per i profili che non hanno ancora scelto un nickname (nome) trovare l’ID è molto semplice, basta infatti guardare l’URL in alto sulla barra degli indirizzi del browser quando visitiamo il loro profilo. Esempio:
http://facebook.com/profile.php?=123456789…
In questo caso il numero alla fine, 123456789… è l’ID che identifica quel particolare utente.
Ma se l’utente ha scelto uno username, del tipo facebook.com/nome.cognome.xx allora bisogna procedere diversamente perché  non basta guardare l’URL.

Illustreremo e spiegheremo adesso alcuni metodi per trovare l’ID utente. Gli esempi sono stati basati sull’utente Facebook che tutti conoscete, Mark Zuckerberg, il cui ID è il n.4.

Perché 4 e non 1, vi chiederete? Perché i primi tre utenti di Facebook sono di beta testing e sono stati utilizzati dallo stesso Zuckerberg per progettato il social network. Questi profili ora non sono più accessibili e a lui è rimasto l’ID numero 4.

 
METODO 1 
Navigando sulle foto dell’utente, e cliccando su uno dei suoi album (esempio le foto del profilo) noterete che l’URL in alto sarà del tipo:
Il primo due numeri alla fine del collegamento identificano l’album, l’ultimo (dopo il punto) identifica l’utente!
METODO 2
Un altro modo per trovare ID di Facebook di una persona o di una fan page è aprire il sorgente della pagina e cercare al suo interno il codice. Anche in questo caso si tratta di un’operazione facilissima.
Sia con Chrome che con Firefox basta fare click destro in un punto qualsiasi della pagina e selezionare la voce Visualizza sorgente pagina dal menu che compare. Nella pagina che si apre, bisogna dunque attivare lo strumento di ricerca (premendo Ctrl+F su Windows o cmd+f su Mac) e trovare la stringa che comincia con profile_ID.
 
 
COME SI PROCEDE PER DENUNCIARE L’ILLECITO 
A questo punto, la persona molestata può denunciare l’illecito, con una querela o con un semplice esposto. È sufficiente copiare il numero che compare tra questi codici e fornirlo, assieme al nickname del profilo del molestatore, alla Polizia postale che, ottenute le dovute autorizzazioni dalla Procura, cercherà di risalire all’identità del molestatore tramite l’individuazione del suo indirizzo IP (Internet Protocol).
Tutti coloro che subiscono delle offese o minacce tramite internet possono e devono rivolgersi alla polizia postale e porre fine al comportamento scorretto di individui senza scrupoli che mettono a repentaglio la sicurezza altrui.
MA L’AZIENDA PUÒ CREARE UN FALSO PROFILO PER “SPIARE” IL DIPENDENTE 

La Corte di cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 10955 del 26 maggio 2015 ha ritenuto  non legittima la condotta dell’azienda (o del datore di lavoro) che ha creato un falso profilo Facebook per incastrare il dipendente negligente. Provando in questo modo la propensione ad assentarsi dal posto di lavoro, tanto da arrivare al licenziamento.
Nello specifico è stato accertato che il capo del personale dell’impresa aveva creato un falso profilo femminile su Facebook con richiesta di amicizia a un dipendente che già era stato sorpreso ad assentarsi dal posto di lavoro per una telefonata di oltre un quarto d’ora, lasciando incustodito un macchinario che, durante l’assenza, si era bloccato. Quello stesso giorno era stato trovato nel suo armadietto aziendale un Ipad acceso e collegato alle rete elettrica.
Nei giorni seguenti, in seguito alla richiesta di amicizia arrivata dal falso profilo Facebook, era stato accertato come il dipendente avesse utilizzato a lungo e in più occasioni il suo profilo in orari che coincidevano con quelli di lavoro. Sulla base di tutti questi elementi è scattata la procedura di licenziamento per giusta causa, ora confermata dalla decisione della Cassazione.
POST A COMMENT