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Torino: "In silenzio per 8 anni dopo l'abuso. Ora grido: denunciate i pedofili"

La storia di Francesco , 22 anni, violentato a undici da uno zio durante un picnic. L’aguzzino è stato condannato


Se accetto di parlare di questa storia è per dire che non si deve sempre stare zitti. Parlare è la strada giusta, anche se certe cose possono imbarazzare o far soffrire”. Francesco, 22 anni, lo dice il giorno in cui il tribunale di Torino ha condannato a cinque anni di carcere “quell’uomo che faccio fatica a chiamare zio” e che gli ha rovinato la vita quando aveva 11 anni. A quell’epoca Francesco non era Francesco. Era una bambina che stava iniziando a crescere e su cui aveva messo gli occhi il marito della zia, costringendola un giorno ad appartarsi con lui durante un pic nic di famiglia. Una vicenda che Francesco non ha raccontato a nessuno e ha rimosso per 8 anni.

“Amnesia difensiva”, l’hanno chiamata gli psichiatri. Ma quel ricordo esisteva e gli aveva provocato una forte depressione, che nessuno riusciva a spiegarsi.
E soprattutto quell’abuso rimosso stava rendendo ancora più complicata la percezione della propria identità sessuale che in quel momento era confusa. “Ci ho messo tempo, sono passato attraverso l’omosessualità prima di capire che sono un ragazzo trans – dice – Adesso lo so e ho iniziato un percorso. E so anche che l’abuso e la mia transessualità non sono legate tra di loro: l’ho capito grazie al supporto psicologico che ho avuto. Ma è stato pesante in quegli anni affrontare tutte queste cose, ho sofferto una gran confusione”.
La consapevolezza è arrivata a 19 anni, quando durante un ricovero in clinica per la depressione è riemerso il ricordo di quella festa di famiglia. “E mi sono tornate alla mente anche le parole che aveva pronunciato quell’uomo: “Se parlerai non ti crederà nessuno e nessuno ti vorrà più bene”. In quel momento mi è stata chiara l’operazione di rimozione che il mio cervello aveva fatto per proteggermi”, racconta Francesco, che quel giorno stesso ha provato a uccidersi. “Mi sono impiccato perché non volevo dire a nessuno quello che mi ero ricordato. Non volevo dirlo a mia zia per non darle un dolore. Avevo scelto di sparire io per vergogna e per non far soffrire gli altri”. Ma Francesco è stato salvato.
“Quando mi sono svegliato, ho ripensato a tutto. Ho pensato alle mie cugine che avrebbero potuto subire quello che era accaduto a me. Ho capito che se non ero morto, allora dovevo parlare”. E così ha fatto. Francesco ha detto tutto a sua madre, che ha rivelato quel segreto alla sorella. “Mia zia all’istante se n’è andata di casa e si è separata dal marito con cui stava da trent’anni. Non me l’aspettavo. È vero che mio zio aveva la fama di essere un po’ insistente con le donne, ma sapere che mia zia abbia creduto subito a me, che non abbia messo in dubbio nemmeno per un attimo quello che avevo detto mi ha dato una grande energia e ci ha legati ancora più di quanto non lo fossimo prima. D’altra parte la mia famiglia aveva sempre vissuto con apprensione la mia depressione e sapere cos’era successo dava una spiegazione al mio malessere”.
Alla confessione in famiglia è seguita la denuncia alla procura.
Il fascicolo è stato preso in mano dalla pm Barbara Badellino che ha sentito due volte in audizione protetta Francesco, assistito dall’avvocata Cristina Brusa.
Sono state chieste consulenze tecniche che hanno confermato non solo come il ricordo dell’abuso fosse nitido, ma hanno anche evitato che le questioni di identità di genere potessero generare confusioni sull’unico nodo del processo, ovvero la violenza sessuale su una bambina di 11 anni. L’imputato, difeso dall’avvocato Domenico Peila, non ha mai confessato. E per lui Francesco non mostra sete di vendetta: “Non basta il carcere, le persone come lui devono essere curate e aiutate a capire il male che hanno fatto. Se lui si rendesse conto di aver rovinato la vita di un ragazzino e della sua famiglia non dormirebbe la notte. Io non dico che deve morire per quel che ha fatto, io dico che più che una persona cattiva lui è una persona malata”, afferma Francesco, che ieri ha avuto dalla corte presieduta da Silvia Bersano Begey un importante riconoscimento del suo coraggio.
“Quando ho saputo della condanna, mi sono sentito alleggerito Sono stato contento soprattutto di essere stato creduto e vorrei che raccontare questa mia storia servisse a chi vive una situazione simile a non sentirsi solo. Io sono stato tanto solo per tanti anni. Ho dovuto interrompere la scuola per i continui ricoveri e solo adesso sto riallacciando legami con vecchi amici”.
Il pensiero, alla conclusione di questo periodo, va alla sua famiglia “che mi è stata davvero molto vicina. Penso ai miei genitori e a mia sorella, che mi ha visto soffrire tanto. Non ho idea di cosa proverei se dovessi vedere lei star male quanto sono stato male io”.
Una condanna che lo ripaga di molti sforzi, ma Francesco resta una persona fragile. “Ho un disturbo post traumatico, vivo in una comunità alloggio e provo a costruirmi un futuro. Sto cercando un lavoro per non gravare sui miei genitori e vorrei mettere i soldi da parte per iscrivermi a una scuola di recitazione, che è il mio sogno”.
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