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Torino: è scattato all'alba lo sgombero "dolce" del Moi, l'ex villaggio olimpico occupato

Coinvolti un centinaio di profughi, il via all’operazione dopo mesi di stop


E’ partita all’alba la seconda fase dello svuotamento del Moi, l’ex villaggio olimpico occupato da un migliaio di migranti dal marzo 2013. Dopo le cantine, tocca alla prima delle quattro palazzine di via Giordano Bruno, quella ribattezzata delle famiglie. Polizia, carabinieri e vigili urbani insieme con i mediatori culturali del Comune e della compagnia di San Paolo, principali registi del progetto di ricollocamento, hanno iniziato a lavorare intorno alle 6. La palazzina è quella marrone. Presenti l’assessore Sonia Schellino e il comandante dei vigili urbani Emiliano Bezzon, mentre intorno alle 9 è arrivato anche il questore Francesco Messina.
Sono circa un centinaio le persone che nei mesi scorsi hanno aderito al progetto, coordinato dalla Città, dalla prefettura, dalla Compagnia e dalla Diocesi. Sono una settantina quelli che sono già usciti dalla palazzina che ospita le famiglie di somali. Lo svuotamento  è completo, anche se  qualcuno torna per recuperare gli ultimi bagagli. C’è chi si vuole portare via anche il frigorifero e la lavatrice. Tanti hanno caricato sui furgoni televisori  e altri elettrodomestici. Non ci sono state tensioni anche se la polizia aveva circondato  la palazzina per prevenire ogni problema. Il lavoro dei mediatori e della Digos ha permesso di arrivare ad un allontanamento condiviso senza momenti di tensione significativi.

Sono oltre 600, tra personale della questura e altre forze di polizia, i soggetti impiegati nello sgombero. Comune e Prefettura seguono il processo di ricollocazione dei profughi, con le operazioni che al momento si stanno svolgendo senza alcun problema, anche grazie al dialogo avviato nelle settimane scorse dalla questura con le persone che vivono nella struttura.
La prima fase dello “sgombero dolce”, come viene chiamato il sistema individuato per svuotare l’ex villaggio olimpico, era iniziata il 20 novembre e si era conclusa dopo due giorni di resistenza di alcuni irriducibili che non volevano abbandonare i seminterrati della palazzina arancione. Dopo quel primo atto erano stati montati dei cancelli nelle cantine che nei mesi scorsi sono stati in parte forzati e qualcuno è tornato a vivere in quegli spazi ingombri di masserizie ma si tratta di una decina di persone, molte meno del centinaio che erano state allontanate a novembre.

 Il progetto del Comune ha subito più interruzioni, dalla scorsa estate ad oggi. L’ufficio dei mediatori è stato devastato e il project manager della compagnia di San Paolo, Antonio Maspoli che dirige il lavoro dei mediatori era stato aggredito il 21 dicembre scorso. Dopo quell’episodio l’ufficio che si occupa di raccogliere le adesioni di chi accetta di lasciare le palazzine occupate e intraprendere un percorso di inserimento sociale si era fermato per tre mesi.
La decisione di partire  con lo svuotamento degli edifici principali  entro agosto era arrivata anche dopo un vertice della sindaca Chiara Appendino con il ministro degli interni  Matteo Salvini che aveva quasi dettato un ultimatum alla città di Torino.

Torino, all’alba lo sgombero dell’ex Moi, il villaggio olimpico occupato

Le quasi 180 persone che in questi mesi hanno lasciato il Moi sono state ricollocate in appartamenti trovati in gran parte dalla Diocesi e dalla città di Torino. Per tutti è iniziato un percorso di inserimento lavorativo o di formazione. Il “pacchetto” è simile a quello previsto per chi oggi lascerà le palazzine.
“Stiamo cercando di creare un modello che dia opportunità alle persone, che le aiuti a diventare cittadini come tutti gli altri, rimboccandosi le maniche e prendendo in mano la propria vita. La risposta che vogliamo al problema dell’immigrazione è questa”. Lo afferma Sonia Schellino, assessora al Welfare del Comune di Torino, mentre assiste allo sgombero dell’ex Moi. “Questo è un progetto interistituzionale che va avanti da due anni – spiega – A novembre è stato spostato chi viveva nei sotterranei, oggi chi abitava nella palazzina marrone. Sono stati messi a disposizione degli appartamenti, poi Questura e Prefettura si occuperanno dei documenti e verranno valutati gli inserimenti lavorativi. Ora queste persone possono iniziare un nuovo percorso di vita”.
Il concetto è stato poi ribatito dalla sindaca di Torino, Chiara Appendino, che ha illustrato l’operazione in una conferenza stampa: “La credibilità dell’intero progetto – ha detto – dipendeva dalla liberazione della palazzina. Questa  tappa era una priorità  per mantenere insieme due diritti fondamentali, la garanzia di una vita dignitosa e la necessità si restituire alla proprietà quelle palazzine che per troppi anni sono state abbandonate e dove la presenza delle istituzioni mancava. I problemi complessi richiedono  soluzioni complesse. E si risolvono lavorando tutti insieme e ognuno, qui, ha fatto la sua parte. Abbiamo  raccolto un nuovo modello per il paese. Qualche anno fa liberare una palazzina senza  l’uso della forza non sarebbe nemmeno stato immaginabile. Oggi si ottiene un risultato importante che ci permette di progettare il futuro di queste palazzine. Da settembre inizieremo a lavorarci”. L’obiettivo, ha aggiunto, è liberare tutte le palazzine entro la conclusione del mandato amministrativo.

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