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Tagli per finanziare il reddito: il piano M5S, dubbi della Lega

La caccia ai tagli per finanziare il reddito di cittadinanza qualora non fosse la crescita a farlo, continua. Le riunioni in notturna a palazzo Chigi per scrivere il Def hanno sinora avuto il pregio di non risentire degli umori dei mercati. Invece oggi si cambia e la convocazione è per l’ora di pranzo.
«Tutti insieme avanti determinati con gli impegni presi», ha twittato ieri sera il presidente del Consiglio Conte pubblicando la foto del tavolo della riunione. Squadra vincente non si cambia, sembra sottendere il premier che oggi rimette intorno al tavolo i ministri Tria, Di Maio, Salvini e Moavero, i sottosegretari Giorgetti, Garavaglia e Castelli. L’impegno, ribadito ieri dal vicepremier Di Maio, è di consegnare oggi in Parlamento il Def ma i problemi sono ancora tanti e molti sul lato della caccia alle risorse per realizzare contemporaneamente le misure promesse dalla Lega e quelle assicurate dal M5S. Ieri sera nessuno ha messo in discussione le riforme dell’altro. Ma nella Lega si segue con molta attenzione la modulazione del reddito di cittadinanza che sta provocando fortissime tensioni nell’elettorato del Nord. Il problema di trovare i soldi resta sulle spalle del ministro dell’Economia Tria, e non è facile malgrado quel rapporto deficit-pil al 2,4% che neppure il governo sovranista austriaco – presidente di turno della Ue – sembra disposto avallare.

LE FORBICI
La maggioranza giallo verde intende però tirare dritto e ieri sera Di Maio lo ha ribadito pur aprendo ad una concessione. Ovvero, tenere fermo il 2,4% nel primo anno e poi garantire una discesa del debito grazie ai tagli del «team mani di forbici», come lo chiamano a palazzo Chigi. Quindi non più 2,4% sino al 2021, ma solo per il 2019 e poi in lenta discesa grazie all’aumento della crescita o a tagli della spesa. Una mano tesa all’Europa che non è detto basti, ma Di Maio e Salvini – malgrado l’obiettivo finale sia diverso – puntano molto sul voto di maggio e su un cambio netto della governance dell’Europa e dell’euro. Sottovalutando, forse, che Juncker potrebbe non esserci più, ma le regole europee ci saranno ancora e che, soprattutto, ognuno è sovranista a casa propria. Il problema è dove tagliare, ora e in futuro. Su questo ieri sera si è conclusa la riunione che per Tria ha comunque rappresentato la prima boccata d’ossigeno dopo giorni di apnea. D’altra parte la vertiginosa salita dello spread, le performance negative della borsa e il costo quasi triplo delle polizze che proteggono dal rischio default dell’Italia, non fanno dormire sonni tranquilli a palazzo Chigi.

Ovviamente ogni dichiarazione in questo momento fa muovere su o giù l’asticella, ma ancora peggio sarebbe se il ministro Tria dovesse lasciare il governo nel bel mezzo della manovra. Una prospettiva sempre smentita dal diretto interessato, il quale ieri ha raccontato il senso dei colloqui avuti a Lussemburgo dai quali si capisce che di fatto ci sarebbero da parte della Commissione Ue meno chiusure di quello che sembra.Tria da ieri sera è tornato quindi ad essere – agli occhi di Conte e dei due vicepremier – l’unico in grado di avere le password per convincere la Commissione a non rimandare indietro la manovra.

La prima parola d’ordine è investimenti, chiodo fisso del ministro Savona, che ieri era a Strasburgo dove ha incontrato il presidente Tajani. La seconda sono tagli alla spesa improduttiva che a Bruxelles piacciono e che Di Maio ha promesso. L’altro passaggio, per rendere più potabile la manovra, è rendere il reddito di cittadinanza uno strumento non per fannulloni ma per veri poveri. In buona sostanza si cerca di infiocchettare il tutto in maniera diversa affinché la manovra non sembri un dito nell’occhio della Commissione che peraltro – e su questo si conta anche a palazzo Chigi – ha con la Brexit problemi forse maggiori.

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