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Sulle colline spezzine, una casa che dialoga con il passato

Il pavimento della pinacoteca è elemento di rottura rispetto al restauro conservativo della casa. Foto Valentina Sommariva

Un’intuizione, un innamoramento, come spesso accade. Ma poi, subito dopo, una visione progettuale precisa, seguita da un meticoloso restauro. La casa sulle colline spezzine che il fotografo ritrattista Giordano Benacci ha scelto di abitare con la moglie e il figlio di sette anni risponde alla sua ricerca di un linguaggio sofisticato e intimista. La struttura in pietra era, in origine, la dépendance del castello Giustiniani-Picedi di Vezzano Ligure, risalente all’anno Mille. Oggi rimane pressoché invariata, grazie al rispetto della pianta originale (sviluppata su una superficie di 200 metri quadrati, in un susseguirsi di stanze comunicanti disposte su tre piani principali) e l’utilizzo di materiali e fogge d’epoca. Unico intervento strutturale che interrompe il continuum storico è un solaio in ferro e cristallo, realizzato per dividere il primo piano dal secondo, che ridefinisce radicalmente la percezione dello spazio interno. Attraverso l’ingresso si accede alla “sala da tè” che connette cucina e living room, dal tetto spiovente, con pochi gradini di dislivello. Dallo studio, invece, si raggiunge la scala in cemento che sale al secondo piano, dove si trova la stanza del bambino e una pinacoteca “sospesa” sul solaio di cristallo. Al di sopra, nel sottotetto al terzo piano, si trova la camera padronale.

Il progetto di interior è del proprietario stesso, con una coerenza stilistica che predilige colori scuri, strutture rigorose e materiali grezzi. Come il ferro che, in nuance naturale, ritorna in diversi ambienti, costituendo, tra le altre cose, il blocco scultoreo e la scaffalatura della cucina. La pietra a secco delle pareti invece, conservata ovunque possibile, diventa elemento materico che definisce le pareti perimetrali della casa, mentre il legno di recupero viene reinserito nel sottotetto, utilizzato come pavimento e base del letto. Altra texture viene aggiunta dal calcestruzzo, rifinito a resina trasparente, usato per realizzare il corpo d’arredo principale del bagno, nel quale viene scavato il lavabo. Il grigio antracite è protagonista della tavolozza che dipinge uniformemente i pavimenti in resina, i soffitti e le pareti, trattate con acqua e ossidi e finite con pigmenti in polvere, ottenendo superfici con un effetto multidimensionale. Che sono il fondale perfetto agli scatti del fotografo, in cui scelta cromatica e ricerca sulla luce evocano la pittura classica. Il discorso sulla luce, per Giordano, non è astratto: ritorna in tutti gli ambienti di questa casa. Calibrata e soppesata, filtrata da finestre e fessure intagliate nei muri, la luce passa attraverso pieni e vuoti, viene smorzata e assorbita dai toni scuri di finiture e arredi. «I toni scuri evocano il riposo e la calma», spiega Benacci. «Chiunque entri qui, riconosce l’effetto rilassante di questo posto».

In cucina scaffale/credenza in ferro. Stoviglie ed elementi d’arredo provengono da negozi o mercati di antiquariato. Foto Valentina Sommariva

Complementi, arredi e opere d’arte antichi arrivano da collezionisti, mercati, negozi di antiquariato. Ogni oggetto è figlio di una ricerca appassionata, di un’attitudine romantica e di una sensibilità estrema per tutto ciò che testimonia, con la sua sola presenza, un tempo passato. Una collezione di circa 60 ritratti a olio del XIX secolo popola le pareti dall’ingresso alla pinacoteca, al living. Provenienti da Francia, Italia e Germania, ogni dipinto è stato scelto da Benacci per la sua capacità di suscitare emozioni: «Sono sempre stato attratto dalle cose che hanno un vissuto e una poesia. Mi chiedo come ci si possa liberare dei ritratti di un antenato, io non potrei mai. Per me, ricollocare questi dipinti significa ridare loro una casa. Non ho mai voluto separare le famiglie. Ogni volta che ho potuto ho acquistato coppie di quadri, padri e figli, mariti e mogli, e di molti di loro conosco cenni di vita». Una convivenza intima con la memoria, una disinvoltura che lo spinge a indossare abiti antichi e a utilizzare una macchina fotografica del 1927 e a farsi carico di ricongiungimenti familiari nella sua pinacoteca sono il cuore del lavoro e della casa di Giordano Benacci: «Queste stanze sono piene di “presenza” delle vite di altri. Una presenza che mi fa sentire protetto attraverso gli oggetti e i ritratti di uomini e donne che non appartengono al mio passato, ma ai quali sento di aver dato un futuro».

Trovate questo articolo di Alice Ida, con le foto di Valentina Sommariva a pagina 82 di AD di febbraio. 

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