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"Sono gay e sono prete": padre Greg fa coming out. I parrocchiani applaudono, il vescovo timidamente approva

Il sacerdote statunintenese ha spiegato di aver vissuto per anni nella vergogna, fino alla liberazione e all’ammissione davanti a tutti della propria omosessualità

CITTÀ DEL VATICANO –  Di lui si sono occupati tutti i media americani, New York Times in testa. Padre Gregory Greiten, sacerdote nel Wisconsin, 52 anni, lo scorso 17 dicembre si è presentato davanti ai suoi parrocchiani della Saint Bernadette Catholic Parish di Milwaukee per dichiarare la propria omosessualità. “Sono gay e sono un prete cattolico romano”, ha detto spiegando di non avere intenzione di lasciare il sacerdozio.
Un’uscita ribadita il giorno dopo in un column pubblicato sul National Catholic Reporter e che ha ricevuto non soltanto la standing ovation dei parrocchiani ma anche, qualche giorno dopo, una tiepida, tuttavia reale, approvazione dell’arcivescovo di Milwaukee, Jerome Listecki, che ha dichiarato: “Noisupportiamo padre Greiten nel suo percorso e raccontiamo la sua storia per comprendere e vivere con lui il suo orientamento sessuale”. “Come insegna la Chiesa – ha voluto comunque ribadire il presule – chi ha un’attrazione per persone dello stesso sesso deve essere trattato con comprensione e compassione. Come preti che hanno fatto una promessa al celibato, sappiamo che ogni settimana ci sono persone nei nostri banchi che lottano con la questione dell’omosessualità”.
Per diversi anni Gregory ha vissuto vergognandosi di se stesso, sostenendo che la Chiesa nei suoi confronti, come nei confronti di tanti altri sacerdoti omosessuali, ha mantenuto un atteggiamento omofobo.
“I preti della chiesa cattolica romana e del mondo – ha detto – dovrebbero incoraggiare a rompere il muro del silenzio e dire la verità sulla propria identità sessuale. Mi impegnerò a non vivere la mia vita nell’ombra del segreto. Prometto di essere autenticamente me stesso. Abbraccerò la persona che Dio ha creato in me”.
E ancora: “Fin dai giorni del seminario negli anni 80, mi è stato insegnato che l’omosessualità è qualcosa di disordinato, indicibile, qualcosa da punire. Gli amici con ‘amicizie particolari’ sono stati immediatamente rimossi dalla scuola a causa di ‘problemi familiari’. Durante il mio ultimo anno, un frate condusse un’indagine per cercare di identificare e punire gli studenti sessualmente attivi. Dopo essere stato interrogato, mi è stato detto direttamente che se fossi stato sorpreso a parlare di questo con altri, sarei stato congedato immediatamente dalla scuola. A causa della cultura della vergogna e della segretezza intorno alle questioni sessuali in seminario, gli studenti vivevano nella paura e si sentivano costretti a rimanere in silenzio. Era evidente che la dirigenza voleva che tutto fosse messo sotto il tappeto. È stato in questo ambiente segreto che sono cresciuto”.
“Le parole scritte da Jack Morin mi sembrano così profetiche: ‘Se vai in guerra con la tua sessualità, perderai e finirai peggio di quando hai iniziato’. Dalle mie esperienze traumatiche nel seminario, mi sono immerso nei miei studi universitari e ho esplorato la mia vocazione al ministero sacerdotale nella Chiesa. Riflettendo su quegli anni, ho capito che non mi rendevo conto di quanto stessi reprimendo i miei sentimenti nel tentativo di vivere una vita da uomo eterosessuale. Così è stato fino all’età di 24 anni, quando durante un viaggio di cinque ore per rientrare in seminario, la verità ha sfondato la menzogna. E alla fine ho ammesso a me stesso, ‘Io sono gay!’. Stavo percorrendo una strada cercando di evitare di uscire dalla corsia, ripetendo a me stesso ancora e ancora: ‘Sono gay!’. Anni di vergogna accumulata si sono riversati fuori mentre le lacrime scorrevano sulle mie guance”.

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