Il momento della resa dei conti per Afrin si avvicina. Erdogan pronto a schierare i carri armati e iniziare l’attacco finale dell’enclave curda e promette che l’offensiva delle sue truppe non si fermerà se non dopo aver distrutto la minaccia “terrorista”. Intanto nell’ultima roccaforte nelle mani dei ribelli, la battaglia tra le forze di Bashar el-Assad e le milizie non si ferma

Siria, sotto le bombe a Damasco: la testimonianza di un operatore umanitario

Alla fine, sarà nelle sale del Cremlino che si discuterà di Afrin e Manbij. Vladimir Putin è un alleato di ferro di Assad, ma ha comunque rinsaldato l’amicizia con Erdogan: sarà lui a mediare, per evitare uno scontro diretto. Un accordo fra turchi e siriani, con la supervisione russa, potrebbe vedere sacrificati, ancora una volta, i sogni di autonomia dei curdi. Ma la presenza dei marines nel Rojava, a meno di sorprese dall’amministrazione Trump, mantiene la partita ancora aperta.
Intanto anche a Ghouta, considerata l’ultima roccaforte nelle mani dei ribelli, la battaglia non si ferma ed è salito a 98, tra cui 20 bambini e 14 donne, il bilancio delle vittime delle ultime ore dei raid aerei e di artiglieria governativi siriani sulla regione a est di Damasco, assediata dalle truppe lealiste e controllata da gruppi armati delle opposizioni. Il bilancio dell’Osservatorio siriano per i diritti umani arriva a 194 civili uccisi da domenica. E queste cifre drammatiche – sottolinea l’Osservatorio – sono destinate ad aumentare perché i feriti sono circa 470, alcuni dei quali sono in condizione critiche. Per le Nazioni Unite “non ci sono più parole” per esprimere lo sdegno dinanzi alle uccisioni e alle sofferenze dei bambini nella Ghouta orientale. “Nessuna parola renderà giustizia ai bambini uccisi, alle loro madri, ai loro padri e ai loro cari”, afferma una dichiarazione diffusa da Geert Cappelaere, direttore regione di Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa