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SHARPER: ALL'AQUILA RIS PER UNA NOTTE! SCHIAVONE, ''COMPLEMENTARI A LABORATORI''

Pubblicazione: 28 settembre 2017 alle ore 07:00

Sergio Schiavone

di Alessia Centi Pizzutilli
L’AQUILA – Improvvisarsi investigatori e scienziati per una notte, ricostruire scene del crimine e analizzare le prove insieme agli esperti, scovare tracce biologiche grazie a strumenti tecnologici e all’avanguardia e analizzare le impronte digitali: all’Aquila domani, 29 settembre, si potrà entrare per una notte nel Reparto investigazioni scientifiche (Ris) dell’Arma dei Carabinieri.
La singolare esperienza verrà offerta ai cittadini nell’ambito dell’evento Sharper (Sharing researchers’ passions for engagement and responsibility, ovvero “condividere le passioni dei ricercatori, per il coinvolgimento e la responsabilità”), organizzato dai Laboratori nazionali del Gran Sasso (Lngs) e dal Gran Sasso Science Institute e vedrà un protagonista d’eccezione: il tenente colonello Sergio Schiavone, Comandante dei Ris di Roma.
L’attività inizierà nel tardo pomeriggio a piazza Duomo, dove sarà presente un laboratorio mobile dei Ris, e proseguirà fino a notte inoltrata. “Porteremo un laboratorio mobile a piazza Duomo, in cui mostreremo le tecniche con cui lavoriamo quotidianamente: lampade a lunghezza d’onda variabile, che possono rivelare tracce di materiale biologico sui vestiti e faremo inforcare degli occhiali speciali ai visitatori, affinché si possano vedere”, spiega ad AbruzzoWeb Schiavone, tra l’altro abruzzese di nascita.
“Dimostreremo come si fa a scavare e a ricostruire uno scheletro utilizzando un simulacro, mostreremo uno scanner, che permette di ricostruire la scena del crimine in tempi rapidi e con estrema precisione e tutti gli strumenti per un’analisi rapida di tracce di esplosivi, droghe e impronte digitali”, aggiunge.
In mattinata, inoltre, si terrà un seminario all’Auditorium Sericchi dove il comandante dei Ris parlerà delle sfide del futuro e delle nuove tecnologie a supporto del suo settore.
“Al centro dell’incontro ci saranno le nuove frontiere delle scienze forensi, spiegherò come i Ris si apprestano ad affrontare il futuro in tutti i settori di competenza: dall’analisi delle impronte digitali, del Dna, della balistica, fino al segnale audio e video – spiega – Farò una carrellata delle tecnologie, attuali e future, partendo dagli accertamenti di laboratorio che sono alla base della scena del crimine, ripercorrendo un’ideale linea evolutiva che parta dagli anni Ottanta, periodo di nascita e diffusione di questo nuovo approccio d’indagine, fino a oggi”.
Uno dei problemi che, in quel periodo, si trovavano ad affrontare, con maggior frequenza, i Ris era legato alla contaminazione della scena: “una problematica non del tutto risolta – ammette Schiavone – penso al delitto di Meredith Kercher a Perugia; in quell’occasione si è puntato il dito proprio sulla contaminazione della scena e di conseguenza della prove. Questo accade perché sicuramente le tecnologie aiutano molto nella risoluzione dei casi, ma resta fondamentale seguire dei protocolli, piccoli accorgimenti decisivi per individuare l’eventuale dinamica e il possibile colpevole nella fase dibattimentale”.
Sergio Schiavone, nato e cresciuto a Pescara, ha già partecipato a una notte dei ricercatori, ma a Messina, dove è stato al comando dei Ris, prima del suo trasferimento nella Capitale, avvenuto a febbraio.
“Sarà un’emozione sicuramente diversa e molto forte, essendo abruzzese sono molto legato a questo territorio – dichiara – a Pescara torno spesso, lì ho la mia famiglia, gli amici di sempre, insomma, tornare in Abruzzo è sempre un’emozione particolare”.
Al “Sericchi” il comandante dei Ris sarà affiancato da Stefano Ragazzi, direttore dei Laboratori nazionali del Gran Sasso dell’Infn. “Superficialmente si potrebbe pensare che i Laboratori del Gran Sasso e quelli dei Ris lavorino in due ambiti diversi, ma in realtà sono complementari e verrà spiegato durante il seminario a tutti i presenti – sottolinea – Sarà un’evento in cui si dovrà lanciare un messaggio importante, per approfondire un altro aspetto della scienza e della ricerca, applicata alla giustizia e alla risoluzione dei casi giudiziari. Sintomatico di ciò è che, per esempio, l’evoluzione della ricerca della genetica, nel nostro campo, è parallelo allo sviluppo della genetica medica”.
Nei vari settori, la biologia molecolare è quella che ha avuto uno sviluppo più rapido “per ottenere risultati dalla varie tipologie di reperti e da tracce sempre più piccole: in provincia di Ragusa, una volta – racconta – siamo riusciti ad arrestare il colpevole di un omicidio analizzando il sangue di una zanzara, schiacciata su un muro della scena del crimine; magari una traccia così piccola sarebbe potuta passare inosservata, ma noi siamo riusciti a esaminarla e a catturare l’omicida”.
Tanti i passi avanti che sono stati fatti nel settore della ricerca e dell’analisi genetica: “A oggi – prosegue – si può arrivare a estrarre il Dna da una singola cellula, grazie alla scoperta di un chimico americano, Kary Mullis: una reazione a catena della polimerasi, che permette di moltiplicare il materiale genetico, utile per l’identificazione personale”.
I Ris di Roma operano in un territorio molto ampio: dalla Toscana e le Marche a Nord, fino alla Basilicata a Sud. “Abbiamo circa 5 mila casi l’anno, per lo più legati a reati gravi, come omicidio, tentato omicidio, reati sessuali e per portarli a termine abbiamo un team di oltre 120 persone. Siamo un po’ come un ospedale, abbiamo le nostre priorità, una sorta di codice rosso per questo tipo di reati”, illustra.
“n più seguiamo una serie di progetti di ricerca con le Università, con il dipartimento Politiche antidroga della presidenza del Consiglio, e spesso riceviamo visite da parte di delegazioni internazionali, che vengono a vedere e studiare il nostro approccio di lavoro, insomma, è un incarico abbastanza sfaccettato”, aggiunge ancora.
Nonostante le nuove tecnologie e l’evoluzione delle tecniche investigative, restano numerosi i cosiddetti casi irrisolti. “Le cause potrebbero essere infinte, ma principalmente dipende dal tipo di reato su cui si indaga e dove è stato compiuto – sottolinea il comandante – In questo senso sono fondamentali i sistemi di videosorveglianza diffusi su tutto il territorio, l’analisi della posizione di un cellulare, i contatti che si hanno avuto con la vittima o i contenuti di un computer”.
Altro nodo chiave nella risoluzione dei casi è la questione legata all’istituzione di una banca dati del Dna, che in Italia ha tardato ad arrivare. “Un archivio fondamentale nel nostro lavoro e che è realtà: la banca dati del Dna è stata creata nel nostro Paese nel 2009, per aderire a un trattato europeo, ma ci sono voluti 8 anni per renderla effettiva. Per il momento stiamo inserendo i profili genetici in laboratori accreditati delle forze di Polizia scientifica, per la comunità carceraria dovranno essere inseriti nel laboratorio centrale che si trova a Rebibbia, per ora parliamo di 60 mila profili”.
In quest’ottica molti dei “cold case” italiani irrisolti potranno essere riaperti. “Si svolgeranno nuove indagini, basate sull’associazione tra una traccia e un profilo di una persona arrestata magari per tutt’altro reato – spiega – Molti casi verranno riaperti e ormai ci siamo in dirittura d’arrivo per il funzionamento al cento per cento di questo archivio”.
Secondo il comandante dei Ris si possono riaprire casi anche dopo molti anni dal loro avvenimento. “Penso all’omicidio della contessa Alberica Filo della Torre, avvenuto nel 1991, riaperto nel 2007 e risolto nel 2011, grazie alla prova del Dna che ha identificato il colpevole, Manuel Winston, un ex dipendente della famiglia di origini filippine”.
Sull’esistenza o meno del “delitto perfetto” Schiavone non ha dubbi: “Esiste, ma solo se si decide di compiere un omicidio in una zona senza videosorveglianza, in assenza di motivazioni palesi, senza portare supporti tecnologici dietro e ovviamente, senza testimoni nei paraggi. Quasi dei delitti perfetti potrebbero essere considerati quelli firmati da Giuseppe Raeli, ‘il mostro di Cassibile’: in quella vicenda apparentemente non sembravano esserci legami tra le vittime e nulla riportava a Raeli – ricorda – è stato possibile arrivare all’incarcerazione del colpevole solo incrociando le storie delle vittime, dopo la testimonianza di un sopravvissuto”.
Sul rapporto tra la stampa e i casi più gravi il tenente colonnello non si sbilancia: “È sempre più evidente un interesse morboso dell’opinione pubblica – conclude – e la colpevolizzazione di un soggetto indagato spesso avviene a priori, ma sono sempre e solo i fatti che devono parlare”.

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