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Scrive su Facebook “i vigili vanno bruciati vivi”. Per i giudici non è reato

Il commento era apparso su Facebook sotto un articolo della testata L’Adige. Per la Corte d’appello di Trento, è paragonabile a uno “sfogo da bar”: la memoria breve dei social “sgonfia la carica offensiva


Non una diffamazione, bensì “un’attività critica rivolta in maniera generica ad una intera categoria”. Non ha commesso alcun reato l’utente che, commentando un episodio in cui la polizia locale era intervenuta multando le persone che sostavano davanti a una scuola, ha scritto su Facebook “I vigili vanno bruciati vivi con la benzina…feccia”.

I giudici della Corte d’appello di Trento hanno assolto l’autore del post, comparso sulla pagina Facebook della testata L’Adige, perché il fatto non sussiste. Il commento sul social, sostiene la Corte, è paragonabile a uno “sfogo da bar”, “in una agorà virtuale dalla memoria breve”. Nessuna carica offensiva, dunque. Conclusione ben diversa da quella a cui era giunto il giudice di primo grado: l’imputato era stato dichiarato colpevole del reato di diffamazione aggravata e condannato a venti giorni di reclusione e al risarcimento del danno – pari a 2.500 euro – a favore del Comune di Trento, che si era costituito parte civile.

Ora, secondo i giudici d’appello, la frase finita sotto accusa “non configura il reato contestato”. La Corte ha accolto il ricorso del “leone da tastiera” innanzitutto su un punto: il commento è stato pubblicato sul social network, circostanza che modifica la possibilità di diffusione rispetto a un blog e che inciderebbe sulla modalità di identificazione dell’autore del commento. In più, si tratterebbe di “una, per quanto rozza, espressione di pensiero e di libero esercizio di un’attività di critica rivolta in maniera generica ad una intera categoria”. Il commento, insomma, “non appare tanto più offensivo, attesa la sua genericità, dell’altrettanto “raffinato” commento “andate a c…re” da parte di altro utente”, si legge nella sentenza. La Corte rileva che la frase incriminata “non si distanzia molto dalle scritte ricorrenti sui muri della città”. Anzi, la Corte ne cita una specifica, ben nota ai cittadini di Trento, rivolta alla guardie carcerarie e ai giudici, che “campeggia da anni sui muri del vecchio carcere ed è stata ormai letta da molti più passanti degli utenti trentini che frequentano Facebook”.

Quello postato dall’utente sarebbe perciò “un generico sfogo contro un atteggiamento ritenuto eccessivamente severo”. Quasi un “auspicio di maggiore tolleranza”, seppure espresso “con modalità piuttosto primordiali”. A fare la differenza  tra la diffamazione e il semplice sfogo, sarebbe il contesto in cui è apparso il commento. Non proprio un bar, ma una piazza virtuale. I social media, concludono i giudici, “riproducono quelli che una volta erano sfoghi da bar, amplificandone la portata e, al tempo stesso, ‘sgonfiandone’ la carica offensiva in una agorà virtuale dalla memoria breve”.

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