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Santino Ferretti : un cambiamento necessario

SANTINO FERRETTIContinua in questi giorni, in modo inesorabile, la strumentale polemica di chi ha perso le ragioni dell’agire politico. Ancora si usano argomenti che la politica dovrebbe relegare al novero delle competenze, oppure argomenti che sono espressione di una forzatura storica improbabile.
Una volta, finite le elezioni, chi era al Governo cercava di attuare il proprio programma, mentre gli sconfitti si concentravano dapprima sull’analisi del voto e poi sulle azioni da intraprendere per esercitare una efficace opposizione e per costruire un percorso di alternativa. Oggi invece, a 4 mesi dalle elezioni, mentre il Governo ha iniziato a lavorare su alcuni temi, facendo percepire ai cittadini, che effettivamente qualcosa sta cambiando, l’opposizione, che era maggioranza, anziché approfondire le ragioni di un tale tracollo, ha iniziato una operazione di continua invettiva nei confronti del Governo, al punto che la lotta politica è diventata una specie di lite tra bambini, dove ognuno rivendica le proprie posizioni per un fatto di capriccio e non di ragioni. Un fenomeno come quello migratorio, dalle dimensioni enormi come il continente africano, totalmente lasciato senza regole, anzi, utilizzato per fare i soliti affari che la politica ha sempre saputo fare e per avere disponibilità di qualche mancetta europea, utile al consenso. Una crisi economica senza precedenti riversata integralmente sui lavoratori, privati delle ultime tutele rimaste mentre le banche venivano coccolate come presidio di un nuovo modello sociale radical chic. Il sistema sociale smantellato all’ombra di una classe dirigente adatta più a ruoli per una pubblicità ingannevole, piuttosto che per governare complessi processi di cambiamenti sociali. Tutto questo ha reso la politica oggetto di una profonda riflessione circa le sue prerogative. La politica, quella vera, non è strumento di giustificazione, al contrario è mezzo di affermazione. Dunque, non può essere definita politica un pensiero secondo il quale, se il sistema economico richiede flessibilità, allora le tutele vanno smantellate. La politica, almeno di un certo orientamento, serve proprio ad evitare che ciò accada, imponendo regole che il sistema deve non solo accettare, ma anche rispettare. La supremazia della politica e della dignità rispetto al mercato è un principio qualificante per una certa parte politica. L’investimento pubblico per migliorare la vita dei cittadini, non è un fatto così deleterio, in quanto la vita del cittadino è unica e una volta finita lo è per sempre: i soldi, invece, possono costruirsi. Il Decreto Dignità, introdotto dal Governo, è un esempio fulgido di come la politica abbia podestà pianificatoria rispetto ad un modello sociale che vuole affermare. Le reazioni scomposte di questi giorni sono per taluni aspetti comprensibili, infatti non esiste una sola visione del mondo, ne esistono diverse e non tutte assegnano lo stesso valore al cittadino ed alla sua dignità. La cosa che lascia perplessi è il vedere una classe dirigente, nominalmente espressione di un pensiero, protesa ad agire contro quello stesso pensiero. Impegnata a manifestare le enormi incoerenze tra l’espressione sociale e politica che storicamente l’ha qualificata, che ha definitivamente abbandonato con tutte le proprie distintive ragioni. Anziché ricercare i modelli e le contraddizioni sociali, al fine di comprendere il disagio che attraversa la società, costoro hanno scelto di qualificare gli altri, etichettare chi governa in ragione di un consenso venuto proprio sulla base delle idee indicate. Forse, quello che viviamo, per taluni è il periodo del paradosso della politica e il rischio che corrono, è che tale paradosso, finisca per diventare una certezza per gli elettori, che stanno assumendo una nuova consapevolezza, in ragione di una quotidianità rispetto alla quale le ideologie hanno abdicato al ruolo della politica delle giustificazioni.

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