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Santino ferretti Pineto: La morte dei partiti

santono ferretti

SANTINO FERRETTI PINETO


Eri ha giurato il nuovo Governo e subito dopo, quando il Presidente del Consiglio è sceso in strada, c’è stata una vera e propria acclamazione. Una simile scena non si vedeva da molto tempo. Generalmente, quando negli ultimi anni si è fatto un nuovo governo, quasi sempre la reazione è stata di rassegnazione, del tipo: il solito Governo! Questa volta, invece, la speranza negli italiani è talmente tanta, che hanno addirittura applaudito la nascita del nuovo esecutivo. L’attesa che si è creata è notevole, riconducibile a due fatti tra loro interconnessi. Il primo è legato al progressivo impoverimento dei cittadini e del ceto medio in particolare, iniziato con l’ingresso nell’euro. Il secondo, al fatto che ora le forze politiche al Governo sono ancora da mettere alla prova e dunque si è usciti dalla rassegnazione prodotta dai partiti tradizionali. A tutto ciò si aggiunge la crisi economica, nominalmente iniziata nel 2009, ma già latente dal 2007. È evidente che bisogna agire sui comportamenti, fatto legato all’etica e non alle coperture finanziarie. Pertanto tagliare privilegi, prebende, enti inutili è sicuramente importante. Tuttavia si sente la necessità di tornare ad investimenti pubblici, giacché i privati badano, giustamente, al profitto e non ai diritti, fatto quest’ultimo relegato alle prerogative di uno Stato. Pertanto, il diritto allo studio, alla salute, alla giustizia, alla ricerca, sono responsabilità di cui deve farsi carico lo Stato stesso e per poterlo fare, risulta necessario rilanciare gli investimenti pubblici. La storia insegna che per rimettere in moto le economie bloccate, servono investimenti e questi devono partire dallo Stato, che investe per garantire quei diritti scritti nella carta costituzionale. L’impossibilità di sbloccare tali investimenti, per vincoli sovranazionali, finiscono per entrare in contraddizione con quegli stessi principi che il Paese si è dato come fondanti e quindi, necessariamente, vanno rivisti e corretti. Questo significa uscire dall’euro? Assolutamente no, anche se non va sottaciuto il moto semplice, superficiale, irresponsabile e cialtronesco, con cui ci hanno portato in un meccanismo monetario, senza neanche spiegarcelo, per poter scegliere consapevolmente. Tuttavia, bisogna ridiscutere determinati parametri, che permettano di rafforzare l’unita’ dei popoli europei, in uno spirito di solidarietà e di costruzione dei diritti irrinunciabili. Le politiche che ci hanno guidato fino a qui, hanno anteposto i meccanismi finanziari alle reali necessità dei cittadini e per questo sono stati sonoramente bocciati. Adesso, una seria critica all’unita’ economica e finanziaria, risulta necessaria per avviare una seria riflessione sulle ragioni dello stare insieme. In assenza di una tale critica, sia pure con tutte le cautele possibili, si rischia di far diventare l’Europa una antagonista, piuttosto che una opportunità, con tutte le conseguenze che ne potrebbero scaturire. Qualcuno potrebbe obiettare che parlare di investimenti pubblici significa tornare allo statalismo. Potrebbe essere se gestito male, ma uno Stato, non è una Impresa e neanche un cittadino, non ha scopo di lucro, ma ha la responsabilità di applicare i principi costituzionali che si è dati, che per potersi concretizzare hanno bisogno di soldi ed è per questo, che a differenza di imprese e cittadini, i soldi li può costruire. Dunque, rinunciare ad investimenti pubblici, significa rinunciare ad ospedali, scuole, strade, ecc. Cose che non possono e forse, neanche devono fare, in via esclusiva, i privati.
Ieri ha giurato il nuovo Governo e subito dopo, quando il Presidente del Consiglio è sceso in strada, c’è stata una vera e propria acclamazione. Una simile scena non si vedeva da molto tempo. Generalmente, quando negli ultimi anni si è fatto un nuovo governo, quasi sempre la reazione è stata di rassegnazione, del tipo: il solito Governo! Questa volta, invece, la speranza negli italiani è talmente tanta, che hanno addirittura applaudito la nascita del nuovo esecutivo. L’attesa che si è creata è notevole, riconducibile a due fatti tra loro interconnessi. Il primo è legato al progressivo impoverimento dei cittadini e del ceto medio in particolare, iniziato con l’ingresso nell’euro. Il secondo, al fatto che ora le forze politiche al Governo sono ancora da mettere alla prova e dunque si è usciti dalla rassegnazione prodotta dai partiti tradizionali. A tutto ciò si aggiunge la crisi economica, nominalmente iniziata nel 2009, ma già latente dal 2007. È evidente che bisogna agire sui comportamenti, fatto legato all’etica e non alle coperture finanziarie. Pertanto tagliare privilegi, prebende, enti inutili è sicuramente importante. Tuttavia si sente la necessità di tornare ad investimenti pubblici, giacché i privati badano, giustamente, al profitto e non ai diritti, fatto quest’ultimo relegato alle prerogative di uno Stato. Pertanto, il diritto allo studio, alla salute, alla giustizia, alla ricerca, sono responsabilità di cui deve farsi carico lo Stato stesso e per poterlo fare, risulta necessario rilanciare gli investimenti pubblici. La storia insegna che per rimettere in moto le economie bloccate, servono investimenti e questi devono partire dallo Stato, che investe per garantire quei diritti scritti nella carta costituzionale. L’impossibilità di sbloccare tali investimenti, per vincoli sovranazionali, finiscono per entrare in contraddizione con quegli stessi principi che il Paese si è dato come fondanti e quindi, necessariamente, vanno rivisti e corretti. Questo significa uscire dall’euro? Assolutamente no, anche se non va sottaciuto il modo semplice, superficiale, irresponsabile e cialtronesco, con cui ci hanno portato in un meccanismo monetario, senza neanche spiegarcelo, per poter scegliere consapevolmente. Tuttavia, bisogna ridiscutere determinati parametri, che permettano di rafforzare l’unita’ dei popoli europei, in uno spirito di solidarietà e di costruzione dei diritti irrinunciabili. Le politiche che ci hanno guidato fino a qui, hanno anteposto i meccanismi finanziari alle reali necessità dei cittadini e per questo sono stati sonoramente bocciati. Adesso, una seria critica all’unita’ economica e finanziaria, risulta necessaria per avviare una seria riflessione sulle ragioni dello stare insieme. In assenza di una tale critica, sia pure con tutte le cautele possibili, si rischia di far diventare l’Europa una antagonista, piuttosto che una opportunità, con tutte le conseguenze che ne potrebbero scaturire. Qualcuno potrebbe obiettare che parlare di investimenti pubblici significa tornare allo statalismo. Potrebbe essere se gestito male, ma uno Stato, non è una Impresa e neanche un cittadino, non ha scopo di lucro, ma ha la responsabilità di applicare i principi costituzionali che si è dati, che per potersi concretizzare hanno bisogno di soldi ed è per questo, che a differenza di imprese e cittadini, i soldi li può costruire. Dunque, rinunciare ad investimenti pubblici, significa rinunciare ad ospedali, scuole, strade, ecc. Cose che non possono e forse, neanche devono fare, in via esclusiva, i privat
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