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Roma, rifiuti: “Marino paghi 37 milioni di euro”

Il Comune mette in mora l’ex sindaco e i dirigenti capitolini che chiusero la discarica. Esposito: “È assurdo”


Dagli uffici del segretariato capitolino la lettera è partita a luglio scorso. “Notifica di costituzione in mora”, recita l’oggetto della missiva. Il destinatario è l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino a cui l’attuale sindaca chiede la restituzione di 37 milioni di euro per “il danno erariale in via amministrativa (arrecato, ndr), per la maggiorazione dei costi sostenuti da Roma Capitale per il conferimento in discarica del rifiuto indifferenziato”.

Cosa significa questa messa in mora dell’ex sindaco? “È davvero singolare, per non usare un altro termine — tuona Stefano Esposito, ex senatore dem — che una delle scelte più importanti per Roma, cioè liberare la città dal monopolio di Manlio Cerroni, venga tradotta con una richiesta milionaria per Ignazio Marino. Mi auguro che si vada a fondo in questa storia che è inaccettabile”.

Una vicenda che va raccontata riavvolgendo il nastro. Per due anni, i primi dell’amministrazione Raggi, assessori e consiglieri grillini si erano limitati a farne un ritornello: “È colpa di chi ha governato prima”. Ora, però, il Campidoglio è passato ai fatti con la richiesta ufficiale di 37 milioni. La richiesta (un documento riservato di cui Repubblica è venuta in possesso) è stata protocollata in gran segreto lo scorso 10 luglio dal segretario generale del Comune, Pietro Paolo Mileti. Ed è un colpo a effetto che punta dritto alle tasche del chirurgo dem, al conto corrente di chi ha decretato la fine della discarica di Malagrotta e messo un freno agli affari del suo titolare, Manlio Cerroni.

La nota inviata da palazzo Senatorio a Philadelphia, lì dove Marino è tornato a vivere dopo la prematura fine del suo mandato, racconta nel dettaglio la storia dietro la maxi-domanda di risarcimento. A far scattare sull’attenti la giunta Raggi è stata la procura della Corte dei Conti e l’indagine per danno erariale avviata a inizio anno sui rifiuti. La capitale, stando al Patto per Roma siglato nel 2012, avrebbe dovuto differenziare il 65 per cento della spazzatura prodotta dai suoi residenti entro il 2016. Oggi, allo scadere del 2018, la percentuale è ferma al 44,3 per cento. E poco pare essere cambiato rispetto al passato: pure sotto la guida dei 5S la quota di rifiuti che Ama riesce a riciclare fatica terribilmente a crescere.

Dunque? In attesa di individuare soluzioni efficaci — più o meno creative — per il futuro, il Campidoglio preferisce guardare al passato. Ecco, allora, l’attacco diretto all’ex sindaco. “Si rende necessario procedere — si legge nel documento — essendo venuta in rilievo l’esistenza di un danno erariale derivante dal mancato raggiungimento delle predette percentuali di raccolta differenziata, alla messa in mora, a tutela di Roma Capitale, dei diversi soggetti responsabili”.

Oltre a Ignazio Marino, l’amministrazione pentastellata isola anche i dirigenti comunali che tra il 2013 e il 2015 si sono succeduti alla guida del dipartimento Ambiente. L’ex primo cittadino e i manager, secondo il segretariato generale del Comune, dovrebbero restituire alle casse capitoline 5,8 milioni di euro per il 2013, altri 11,5 milioni per il 2014 e 19,6 milioni per il 2015.

Un conto monstre con cui la giunta Raggi, è evidente, cerca di tutelare il bilancio da un’eventuale condanna dei magistrati di viale Mazzini e che contempla due tipi di danni. Secondo palazzo Senatorio, il primo è legato “ai maggiori costi per il conferimento in discarica di rifiuti indifferenziati”. Il secondo, invece, riguarda i “mancati ricavi derivanti dalla vendita di materiali che potevano trarsi dai quantitativi di rifiuto differenziato”. Problemi che ora la sindaca 5S vuole scaricare sul groppone del predecessore.

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