EXITO STYLE

Riviste Moda Online tempo di crisi senza tempo

Non è un segreto che le sorti del mondo dell’editoria rimangano un grande punto di domanda ormai. Nessuno può davvero predire come andrà a finire. Da un punto di vista economico, il vecchio sistema sta collassando su se stesso. Il fatturato della pubblicità su carta stampata è circa un quarto rispetto a com’era solo un decennio fa, la pubblicità digitale non è ancora riuscita a compensare queste perdite e la tiratura ha registrato numeri insufficienti quasi ovunque. La sorte delle pubblicazioni è incerto e si può dire che l’editoria in genere stia subendo un’intensa crisi esistenziale: quale sarà il suo ruolo nel ventunesimo secolo?

Lo stesso mondo della moda sta cambiando e la sua rivoluzione interna ormai risulta visibile agli occhi di tutti. La fashion industry può essere paragonata a un gigante colosso che, per tutto l’anno, cerca di farsi strada faticosamente tra pre collezioni, settimane della moda e altri appuntamenti. Gli stilisti stanno denunciando come questo si rifletta negativamente sulla loro creatività, esercitando su di loro una pressione insostenibile e costringendoli a tenere il passo con ritmi folli. La stessa industria della moda potrebbe essere sull’orlo di un cambiamento almeno tanto radicale quanto quello che ha visto come protagonista l’editoria dopo l’avvento della rivoluzione digitale.
Il rapporto tra utenti e social media è cambiato irrevocabilmente. Non si tratta di certo di un mutamento che ha avuto luogo da un giorno all’altro, ma, piuttosto, in un periodo di almeno cinque anni che ha visto l’introduzione di internet e wifi veloce e a banda larga e l’ascesa indiscussa di smartphone e tablet. Pensiamo al semplice gesto di scendere a prendere il giornale al chiosco sotto casa. Quanto sembra una cosa legata al passato? La classica immagine dell’uomo d’affari con il giornale arrotolato sottobraccio (un quotidiano che è stato acquistato, non quelli gratis che si trovano in metro), munito di valigetta e ombrello sembra avere quasi un che di vittoriano al giorno d’oggi. La distribuzione dei quotidiani deve fare i conti con una crisi più grave di quella che ha coinvolto le riviste e, giusto per lasciarci andare ad inutili eufemismi, anche le riviste se la stanno passando alquanto male.

Le copie di riviste acquistate nel 2015 sono state 15 milioni meno rispetto a quelle del 2014. E ricordiamoci che dal 2014, di anno in anno, Glamour ha registrato perdite del 2.5%, Closer del 11.8%, Cosmo del 9.8%, Marie Claire del 13%, Grazia del 6.4%, Elle del 4.4%, GQ del 2%, Vogue dell’1% e FHM del 20% prima di venir definitivamente chiuso (secondo i dati diffusionali resi noti dalla MediaWeek di ABC). Sembra proprio che nel 2015 le grandi case editrici subiranno la stessa sorte. In America, Condé Nast sta riducendo il numero di pubblicazioni e Hearst sta investendo in e-commerce e start-ups. Pochi stanno registrando crescite, e ancor meno hanno visto un incremento delle vendite.
Tutto questo ha portato a un grande esame di coscienza collettivo, soprattutto tra i più grandi editori come Conde Nast, Hearst, Bauer e Time Inc., la cui sopravvivenza dipende dalla loro abilità di trovare un modo per mantenere costante il profitto in un settore che sta collassando in termini commerciali. Il problema per questi grandi conglomerati e corporazioni è che non hanno avuto la prontezza necessaria per approfittare dei cambiamenti positivi apportati dalla rivoluzione digitale quando hanno avuto luogo e, per questo, a partire da quel momento cercano solo di rimettersi in pari faticosamente. Non è che le persone non leggano più riviste, è solo il modo in cui le leggono, il modo in cui fanno uso dei media è cambiato. L’immagine di un businessman con un giornale sotto braccio? Beh, al giorno d’oggi è più probabile che lo vediate incollato al suo smartphone.

Una volta eravamo costretti a comprare giornali e riviste per poter accedere alle news, ora possiamo trovarle immediatamente, online. L’idea di dover ricorrere alla carta stampata per avere le notizie dell’ultim’ora o per rimanere al corrente sugli ultimi avvenimenti pare incredibilmente arcaica. Noi, invece, ci affidiamo sempre ai siti (anche se spesso si trattano proprio delle pagine web delle già citate case editrici). 24 ore su 24, sette giorni su sette, facciamo il pieno di novità sul nostro smartphone mentre andiamo al lavoro o, mentre siamo in fila per il pranzo, scorriamo i titoli sulle nostre news feed di Facebook o Twitter, ricevendo update visuali e in tempo reale via Instagram. Snapchat, un tempo pensato esclusivamente per condividere scatti che non si ha il coraggio di lasciare in rete per sempre, sta sfruttando le testate giornalistiche per fornire ai propri utenti dei veri e propri contenuti che accompagnino le solite immagini a scomparsa. Facebook si sta aprendo nei confronti degli “Instant Articles”, il che significa che non dovremo neanche cliccare e aprire una nuova finestra per poter leggere un listicle di Buzzfeed o un editoriale del New York Times.
L’industria della moda avrà pure un andamento ciclico e stagionale, ma ora che il mondo sembra essersi ridotto a uno scroll costante, l’idea di potere dare uno sguardo alle ultime novità solo una volta al mese non è di certo allettante, figuriamoci ogni sei mesi. I media stanno accelerando il passo, un po’ come un uomo che cade da un edificio e sta raggiungendo la velocità massima in attesa dell’impatto al suolo. Le notizie sono già vecchie prima ancora che vengano pubblicate e in pochi giorni finiscono già nel cimitero dei social. Questi nuovi media sono tutto un blog, update immediati e notizie in tempo reale. Potrebbe esser una cosa positiva nella movimentata economia d’attenzione che la settimana della moda richiede, ma come da quanto dichiarato da Raf Simons e Alber Elbaz recentemente: in tutto questo pandemonio quando possiamo fermarci a pensare o osservare ciò che ci circonda?

Non è una sorpresa che il trend dominante dei prossimi anni potrebbe discostarsi visibilmente dal consueto “un anno intero di Fashion Week”, mirando a un’industria della moda che risulti più snella e agile. La rivoluzione è già iniziata con la notizia che Burberry, Tom Ford e Vetements (tutte case di moda molto diverse tra loro) hanno deciso di non attenersi più al calendario della moda tradizionale, in cerca di un nuovo modello che unisse l’attention economy che la Fashion Week richiede con la possibilità di acquistare i capi immediatamente. Tutto ciò, però, porrebbe confondere ancora di più gli editori; quale stagione stiamo scattando? Quando gli stylist potranno finalmente metter le mani sui capi, saranno già in ritardo di mesi rispetto al ciclo di notizie. Diciamocelo, è meglio battere il ferro finché è caldo e l’attenzione del mondo è ancora concentrata sul prodotto. Bisogna vedere come si comporteranno le riviste, come reagiranno a questo cambiamento. È difficile da prevedere, ma i cambiamenti nel mondo della moda potrebbero avere sulle riviste stampate un impatto che per entità potrebbe risultare simile a quello che ha causato la rivoluzione internet.
L’irrilevanza che hanno assunto le notizie stampate quotidianamente rispetto a una pubblicazione stagionale ha permesso ai giornali di moda su carta di sbocciare in qualcosa di diverso. Un oggetto di lusso idealmente pensato che si adatta benissimo al mondo della moda tra permanenza e transitorietà. Pur essendo diventato quasi uno strumento usa e getta, un magazine di moda di qualità rappresenta un ancora un cimelio, una capsula del tempo, una finestra che ci regala uno sguardo in un determinato momento storico, non solo per quanto riguarda strettamente la moda, ma anche la musica, la cultura, l’arte, la vita, tutto… È una piattaforma d’espressione per i migliori scrittori, fotografi e artisti. Una rivista fatta bene è qualcosa da apprezzare, a cui dedicare del tempo, assimilare, da rileggere ancora e ancora, non qualcosa da cestinare nel bidone della carta. Riviste come Love, Arena Homme +, Pop, Man About Town, System, 032c, Tank, Fantastic Man, Gentlewoman continuano a fare progressi, editorialmente parlando, producendo bellissimi editoriali e contenuti culturali di spessore.

Risulta difficile, tuttavia, affermare precisamente quanto bene stiano andando queste riviste in termini economici. La maggioranza non rende pubblico il proprio fatturato, significando che possono ancora vedere pubblicità ad alti costi, sostenendo così i loro modelli imprenditoriali. È stato proprio questo che ha causato la chiusura di The Face nel 2004. Proprietà della EMAP, i suoi problemi economici per quanto riguarda la circolazione sono diventati di pubblico dominio e, in tal modo, non ha più potuto contare su investimenti pubblicitari, essendo rimasto intrappolato in un circolo vizioso che l’ha poi portato alla chiusura definitiva.
PricewaterhouseCoopers predicono che tra ora e il 2019, i fatturati delle riviste arriveranno a un periodo di stagnazione (beh, meglio che diminuire, credo), incrementando del solo 0.2% e controbilanciando le perdite termini di vendite e pubblicità con la crescita di nuovi mercati del ceto medio in India, Brasile, Cina e Messico. Mentre le vendite della carta stampata e i guadagni pubblicitari continueranno a calare, la pubblicità digitale incrementerà i profitti, quindi potrebbe essere solo questione di chi sa aspettare e sopravvivere fino a che questi nuovi modelli commerciali diventino attuabili, quando nuove forme di guadagni digitali permetteranno loro di sopravvivere.
La tecnologia sta modellando il futuro della sopravvivenza della moda su carta stampata. La capacità di una pubblicazione non si limita più al numero di click o a quanti sfogliano le sue pagine, la sua influenza ora trova espressione negli stylist che postano le loro foto su Instagram, fotografi che riempiono i loro Tumblr di outtakes e archivi, scrittori che esternano le loro opinioni su Twitter, fan che ripostano, bloggano e criticano e discutono nei forum. Se l’attuale battaglia dell’editoria di moda è in mano ai millennial, coloro che andranno a formare il mercato futuro della moda, sarà una battaglia combattuta sui social media almeno quanto lo sarà in termini di vendite di cartaceo e visualizzazioni sui siti.

L’industria della moda sta incassando su questo, perché a quanto pare il modello più popolare di pubblicità per i milliennial sono gli advertorial, ovvero i contenuti editoriali che vengono astutamente infilati tra i vari articoli. Abbiamo tutti AdBlock sui nostri Pc, o, almeno, chiudiamo i pop up ben prima di leggerli e ignoriamo volontariamente le pubblicità sui banner, considerandoli un semplice ostacolo che ci separa da ciò che realmente ci interessa.
Inoltre, le generazioni più giovani quando sentiranno il termine magazine non penseranno minimamente alla carta, le pagine, le copertine patinate con le celebrità. La loro mente, piuttosto, si riempirà di immagini di siti, hyperlink e gallerie di immagini. Tutto ciò, però, potrebbe avere dei risvolti positivi: la nostalgia dei milliennial per un’età doro dell’editoria che non hanno mai vissuto potrebbe spingerli a mantenere in vita questa forma, un po’ come è accaduto con i vinili.
C’è un fiorente universo di zine, spesso stampate solo per l’amore verso il cartaceo, come Mushpit, Buffalo Zine, Hot + Cool, LAW, per esempio. Questa è la generazione che vuole mantenere vivo il fuoco per non perdere quell’atmosfera che solo le riviste di moda alla vecchia maniera riescono a creare.
Le pubblicazioni di moda, proprio come l’industria stessa, potrebbero trovarsi in uno stato di mutazione, ma difficilmente scompariranno. Il divario tra online e stampato ha liberato i magazine in modo che potessero creare qualcosa di più lussuoso, lento e ponderato; la carta stampata dà spazio a un’industria che, almeno in tempi recenti, ha dovuto far fronte a una crisi esistenziale per colpa dei ritmi folli e delle pressioni che vengono costantemente esercitate.
Mentre resiste hai colpi del coronavirus la rivista break magazine fondata da Cristian Nardi che registra un incremento negli ultimi mesi
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In particolare, molti di quei magazine esaltanti sono quasi del tutto assenti dal web. Invece di battersi per i click e le visualizzazioni, si battono per le migliori storie, mode, fotografi, stylist e scrittori per creare qualcosa di bello. Loro portano avanti l’idea del fashion magazine nel senso più vero del termine, con tutto il potenziale creativo che ciò comporta, anche se non sempre questo paga in termini economici.

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