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RIGOPIANO: PARLA RUFFINI, ''LO STATO ASSENTE ED IO STRUMENTALIZZATO, PROVO DOLORE''

PESCARA – “La mia figura è stata accostata dolosamente e strumentalmente alla tragedia”. E ancora, “se avessi saputo cosa sarebbe accaduto (chi poteva saperlo?) non avrei esitato a rivolgere tutte le attenzioni del caso al territorio di Rigopiano. La circostanza che il mio nome all’improvviso sia diventato centrale, non di una ‘parte’ della gestione del maltempo in Abruzzo, ma della ‘tragedia’ di Rigopiano, mi ha colpito intimamente”.
Questo uno dei passaggi della lettera di Claudio Ruffini, ex segretario del presidente della Regione Abruzzo, Luciano D’Alfonso, citato, ma non indagato, come lo stesso governatore, nelle carte dell’inchiesta giudiziaria legata agli eventi neve e terremoto del 18 gennaio scorso, tra cui la tragedia dell’hotel Rigopiano in cui sono morte 29 persone.
“Sono molto amareggiato per quanto accaduto a Rigopiano. Per i familiari e per le vittime. Lo ero prima ancora che la tragedia entrasse nella mia vita ed in quella della mia famiglia. Adesso il sentimento di dolore si è unito ai sentimenti di paura, di vergogna, di incredulità, di sconcerto”, scrive Ruffini.
“Amministro la cosa pubblica da oltre 30 anni – aggiunge l’ex segretario di D’Alfonso . e mai mi era capitato di trovare il mio nome accostato ad una tragedia che ha sconvolto il Paese, la mia Regione e la vita di tante famiglie. La circostanza che il mio nome all’improvviso sia diventato centrale, non di una ‘parte’ della gestione del maltempo in Abruzzo, ma della ‘tragedia’ di Rigopiano, mi ha colpito intimamente”.
IL RESTO DELLA LETTERA
Nella mia coscienza mai avevo riflettuto sul mio ruolo in quei giorni terribili, se non come a quello di “facilitatore” o se volete di  “servitore” che cerca di dare quante più risposte possibili in una situazione di grave emergenza.
C’era la neve. Una quantità mai vista. Poi il terremoto, le scosse, tre, quattro, tutte di forte intensità. Le comunicazioni erano difficili e nessuno aveva la percezione di cosa potesse accadere.
In quei giorni sventurati, mi sono adoperato con ogni mezzo e sacrificio, affinché i territori, i sindaci tutti, le comunità piccole e grandi, ricevessero una risposta dalle istituzioni preposte a gestire l’emergenza.
Ero  stato “incaricato” dal Presidente D’Alfonso a richiedere mezzi che non c’erano, che dovevano arrivare da fuori regione, dal Nord-Italia. Il mio compito era aiutare e sostenere i sindaci e le comunità allo stremo.
Di certo non potevo essere Claudio Ruffini l’uomo solo al “comando” per gestire una calamità di tale proporzioni, sconosciuta in Abruzzo se non in Italia.
Le leggi del nostro ordinamento individuano chiaramente le figure preposte a gestire le emergenze. Vi è una precisa catena di comando e di coordinamento.
Non trovo alcun riscontro che la figura del personale di segreteria o di staff di un organo politico, possa essere “incaricata” di funzioni e “compiti” che è il nostro ordinamento a stabilire ed individuare con cura.
La mia figura è stata accostata dolosamente e strumentalmente alla tragedia.
Una rimozione della realtà, con ricostruzioni parziali, sommarie e fuorvianti che hanno spinto alcuni commentatori, quasi a definire la mia persona come la “causa” o “una delle cause” della tragedia di Rigopiano.
Se avessi saputo cosa sarebbe accaduto (chi poteva saperlo?) non avrei esitato a rivolgere tutte le attenzioni del caso al territorio di Rigopiano.
Così come in quelle ore, fatte di telefonate frenetiche, delle sollecitazioni più disparate, di sindaci arrabbiati e preoccupati, ritengo che era “umanamente” impossibile offrire risposte adeguate a tutti i sindaci ed a tutti i territori.
Avevo con me due telefonini cellulari più uno fisso e rispondevo ad amministratori di destra e sinistra, a situazioni diverse, per gravità, per territorialità.
Chiamavano dalla provincia di L’Aquila, da Teramo, dalla provincia di Pescara.
In questo “caos” telefonico, mi dispiace molto non aver risposto al sindaco Ilario Lacchetta.
Ma sono altre le telefonate a cui non sono riuscito a dare risposta.
A tante altre ci ho provato e ci sono riuscito, non vi era in me alcuna volontà di penalizzare un territorio rispetto ad un altro. Ho pensato a indirizzare mezzi, uomini e soccorsi, dove mi veniva richiesto. Il mio unico pensiero è stato “richiedere turbine” ed “aiutare i comuni più in difficoltà”.
È mancata, sinceramente, una efficace gestione e coordinamento dell’emergenza.
Il mio sfogo contro il Prefetto e la Prefettura segnalava questo problema.
Un pezzo dello Stato non si era accorto se non in ritardo, che c’era bisogno dello Stato in Abruzzo in quei giorni.
Che le turbine erano poche, che le strade erano impercorribili, che l’emergenza aveva carattere eccezionale, che il prolungarsi degli eventi atmosferici avrebbero, come purtroppo poi è accaduto, potuto produrre anche vittime tra i civili.
Il mio passato da amministratore locale, con un forte radicamento ai territori, avrà certamente influito in quei giorni: mi sono messo a disposizione come fa un sindaco oppure un consigliere comunale quando vede che la sua comunità è in pericolo.
Questo è stato il segno di tutta la mia vita politica fino a quei drammatici giorni, che sono coincisi, poco dopo, con la mia uscita dalla sfera pubblica.
Ho vissuto e vivrò i giorni di Rigopiano con grande dolore ed ineludibile tristezza.

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