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Rieti, tifosi Npc in delirio per la vittoria al supplementare contro Scafati: le emozioni al PalaSojourner

I giocatori della Npc festeggiano sotto la curva Terminillo (Foto Itzel Cosentino)
di Emanuele Laurenzi
RIETI – Una botta pazzesca. D’adrenalina e d’entusiasmo. Di gioia e follia. Una botta pazzesca. Di quelle che ti lasciano senza fiato per ore. Di quelle che ti fanno restare piegato in due, con la testa che gira, i polmoni senza fiato e lo stomaco rovesciato e attorcigliato. Una botta pazzesca che ti fa quasi star male, ma che è bella da morire, che ti mancava da morire e che ti fa capire che bello è questo sport, che bello è quel palazzo e, per dirlo con gli ultras, «che bello quando esco di casa per andare a palazzo a tifare Rieti». E ti ritrovi a mezzanotte a cantare ancora quel coro perché di dormire con tutta quella carica in corpo non se ne parla. E ti ritrovi ad uscire di casa il lunedì mattina saltellando, perché l’adrenalina che se ne va ancora su giù. E ripensi a quella botta pazzesca, a quel 79-72 che resta sul tabellone del PalaSojourner dopo la prima di campionato, dopo Npc Rieti-Scafati, dopo un supplementare da urlo, da infarto, da pazzia allo stato puro. La fine illogica di una partita dove la logica è andata a frasi benedire, perché a un certo punto in campo sono andati cuori ed attributi che hanno mandato in panchina tecnica e ragione. E a quel punto è stato solo delirio, solo tifo, solo gioia senza freni. Mancava da sei mesi il basket al popolo amarantoceleste, da quella metà di aprile dell’ultima uscita in casa del passato campionato. Troppo tempo, troppa astinenza, troppo di tutto per un popolo che vive di pane e palla a spicchi. Così la cosa più logica era quella di ricominciare alla grande, da una partita come non si vedeva da tempo, di quelle col supplementare che è sempre sinonimo di ansia e cardiopalma, di confine sottilissimo tra paradiso e inforno, tra sogno e incubo. Ed è stata tutta così, questa prima di campionato. Un equilibrio continuo tra la gioia e la disperazione, tra il la vittoria e la sconfitta, tra ciò che poteva essere e ciò che non è stato. Alla fine, com’è ovvio, tutto il bello e il meglio sta solo da una parte e tutto il resto sta dall’altra. E il bello e il meglio, stavolta, sta tutto nei colori amarantoceleste: rincorrere per 39’, stare attaccati con le unghie e con i denti e poi vincere è il massimo della vita. Ma che era una giornata pazzesca e bellissima lo si era capito da ore prima della palla a due.
Elettricità nell’aria, gente che girava intorno al PalaSojourner già dal mattino. E poi il parcheggio pieno, tutti dentro, il pubblico che sfiora le duemila presenze, gli ultras che si abbracciano e si saluto e poi la curva. Si, la curva. La Terminillo stracolma di gente e di tifo, la Terminillo che alza uno striscione bello da togliere il fiato e alza cori che il fiato lo tolgono davvero per quanto ti tirano dietro e ti coinvolgono nel cantare.
Poi l’inno, poi la palla a due e poi, finalmente, è battaglia vera sul parquet, è battaglia che vale i due punti. Scafati corre, segna, mena e tira giù rimbalzi come se non ci fosse un domani: alla fine saranno ben 53 contro i 37 di Rieti. I numeri, per fortuna, contano fino a un certo punto. Perché Rieti non ci sta, la Npc non ci sta e quella pattuglia appena arrivata al PalaSojourner si mette in moto perché non vuole far crollare un sogno.
Ci pensa Tommasini a mettere i primi punti, mentre gli altri lo seguono. Si spera in Hearst che si accende a tratti. Si spera in Daventport, che ancora non si vede al meglio della forma. Tutti gli altri danno una mano e si sta sempre lì. Nonostante gli altri, nonostante loro, nonostante, di fronte ci sia una delle squadre più forti del campionato. Scafati scappa, Rieti rientra. Lo fa con Savoldelli che spara due triple spaziali, con la faccia di chi ha vent’anni e non ha paura davvero di niente. Lo fa Casini, che mette punti con una facilità pazzesca. E si sta sempre lì, a lottare su ogni pallone fino all’intervallo sotto di 2. Ci può stare e nessuno si vuole fermare.
E allora si torna in campo, ma Scafati stavolta sembra avere qualcosa di più. Volano, i campi, fino al +10. Sembra finita, sembra fatta,  ma è lì che cambia tutto. E’ lì che finisce la logica e la tecnica e cominciano il cuore e gli attributi. E’ lì che comincia Juan Marcos Casini che prende in mano la squadra e infila due triple due che ribaltano l’incontro, mettono Rieti avanti di 1 e fanno venire giù il palazzo con un boato che s’è sentito pure al rifugio Sebastiani in cima al Terminillo.
Sembra fatta per Rieti, ma cambia tutto di nuovo. Scafati rivola avanti di 4, va fino al 61-65 e sembra rifatta per loro. E allora è ancora cuore ed attributi contro tecnica e ragione. E vincono ancora i primi. Con Rieti che impatta e trascina al supplementare i campani. Saltano gli schemi, saltano i nervi, saltano le coronarie e sugli spalti diventa solo bolgia e tifo.
Si rientra e segna Spizzichini per loro: pensi a quella vecchia, vecchissima regola che ti dice che il primo che segna al supplementare vince la partita. Ma questa non è una partita logica, questa è una partita di cuore ed attributi. E allora arriva Hearst, che si mette in proprio, che fa l’americano, che infila 11 punti consecutivi nel suo e si porta dietro tutto e tutti.
Si porta dietro i duemila del PalaSojourner, si porta dietro la gioia dei tifosi, si porta dietro una squadra e una serata indimenticabile. Con la gente che impazzisce, la curva che va in delirio e richiama gli eori sul parquet per festeggiare. «Io a Natale così non c’arrivo» urla Peppe Cattani impazzito di gioia. E lo urla mentre la figlia Sara, da Madrid, gli manda un messaggio vocale con un coro da curva che il presidentissimo ricambia con un altro coro. E’ festa al PalaSojourner, è festa in città. E’ stata una botta pazzesca. D’adrenalina e d’entusiasmo.
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