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Riciclaggio, Giancarlo Tulliani arrestato a Dubai. Il cognato di Fini in attesa di estradizione

Riciclaggio, Giancarlo Tulliani arrestato a Dubai. Il cognato di Fini in attesa di estradizione
Giancarlo Tulliani
Lo ha annunciato il suo legale Titta Madia. Era latitante dallo scorso marzo, quando si era sottratto alla richiesta di arresto emanata dal gip nell’ambito dell’inchiesta sui rapporti d’affari tra la sua famiglia e il re delle slot Francesco Corallo. Per lo stesso reato è indagato anche l’ex presidente della Camera
ROMA – La dorata latitanza di Giancarlo Tulliani a Dubai è finita. Lo annuncia il suo avvocato. “Giancarlo Tulliani si era recato alla polizia perché si lamentava del fatto che c’erano dei giornalisti che lo seguivano – ha raccontato il legale Titta Madia – La polizia, nel raccogliere la sua denuncia, ha visto il mandato di cattura internazionale e lo ha arrestato. Tulliani è ora con un avvocato del posto, in attesa del procedimento di estradizione. Si vedrà cosa decideranno le autorità di Dubai. Se ci sarà un diniego all’estradizione, Tulliani tornerà libero”. L’Italia ha di recente messo a punto un accordo sulle estradizioni con Dubai, “ma – sottolinea Madia – non è ancora stato ratificato in via definitiva dal Parlamento”.
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Giancarlo Tulliani è destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa lo scorso 20 marzo dalla gip Simonetta D’Alessandro, provvedimento all’epoca non eseguito perché Tulliani da tempo risiedeva a Dubai. Due giorni dopo Tulliani era stato dichiarato latitante dalla stessa gip. Al ricercato è contestato in particolare il reato di riciclaggio nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Roma sui rapporti, ritenuti illeciti, della famiglia Tulliani con il “re delle slot” Francesco Corallo. Per lo stesso reato è indagato Gianfranco Fini, cognato di Giancarlo ed ex presidente della Camera.
Francesco Corallo era stato arrestato il 13 dicembre dello scorso anno, assieme a Rudolf Theodoor Anna Baetsen, Alessandro La Monica, Arturo Vespignani e Amedeo Laboccetta. Tutti ritenuti capi e membri di un’associazione a delinquere a carattere transnazionale, dedita al riciclaggio di denaro tra Italia, Olanda, Antille Olandesi, Principato di Monaco e Santa Lucia. Soldi accantonati dal mancato pagamento delle imposte sul gioco online e sulle video-lottery, con conseguente contestazione dei reati di peculato, riciclaggio e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
Secondo gli inquirenti, Corallo avrebbe impiegato il profitto illecito accuratamente depurato in attività economiche e finanziarie, in acquisizioni immobiliari, destinandolo anche ai membri della famiglia Tulliani. Di qui il successivo approfondimento investigativo che ha portato alla richiesta di arresto di Giancarlo Tulliani, motivata dal gip con la “strategia criminale reiterata” dal ricercato, favorita da contatti politici e dalla sua abilità a muoversi a livello internazionale. Tulliani, scriveva il gip, tra il 2008 e il 2015 si è reso responsabile di “numerosi episodi di riciclaggio” che hanno coinvolto anche la sorella Elisabetta e lo stesso Fini, reati che “potrebbe reiterare”. Emblematico, per il magistrato, il tentativo fallito dell’indagato di trasferire 520 mila euro da un suo conto in Mps a un altro aperto presso gli Emirati Arabi.
Dalla stessa ordinanza del gip a carico di Tulliani si evinceva come i magistrati fossero convinti che, in qualità di vicepresidente del Consiglio dal 2001 al 2006 col governo Berlusconi, Fini non potesse non sapere “dell’esistenza della vicende di un gruppo industriale che si preparava all’accesso a livello nazionale e all’esito di una gara bandita anni prima (e vinta da Corallo, ndr) da un governo di cui Fini stesso era parte, per il lucrosissimo settore del gioco legale”. Convinzione rafforzata dalla correzione alla sua versione dei fatti apportata da Amedeo Labocetta, ex parlamentare finito agli arresti nella vicenda. Laboccetta in particolare aveva retrodatato al 2002 (anno in cui fu approvata la legge 289 in materia di giochi) la preparazione della società di gioco legale ad opera di avvocati “intranei” ad Alleanza Nazionale e a uomini vicinissimi a Fini.
Per le dichiarazioni rese da Laboccetta, Fini aveva chiesto di essere interrogato sulla vicenda e aveva dato mandato ai suoi avvocati di querelare l’ex fedelissimo per calunnia. Dopo aver trascorso sei mesi nel carcere di Regina Coeli, Laboccetta è rientrato a Montecitorio lo scorso giugno in qualità di primo dei non eletti in Campania per il Pdl nelle scorse elezioni, subentrando al deputato dimissionario Raffaele Calabrò di Alleanza Popolare.
L’inchiesta è stata chiusa nelle scorse settimane dai pm di Roma: il procuratore aggiunto della Capitale Michele Prestipino e il pm Barbara Sargenti hanno provveduto a notificare l’avviso di conclusione delle indagini alle parti, passo che anticipa di solito la richiesta di rinvio a giudizio. Gli accertamenti della Procura romana hanno riguardato anche il famoso appartamento di Montecarlo (che una contessa aveva lasciato in eredità ad An) che Giancarlo Tulliani, secondo gli inquirenti, acquistò con i soldi di Corallo attraverso la creazione di due società off-shore, la Primtemps e la Timara: poco più di 300mila euro nel 2008, quando la cessione dell’immobile nel 2015 fruttò un milione e 360miladollari. Operazione di compravendita che Fini avrebbe autorizzato senza sapere che dietro c’era il cognato (così si giustificò davanti ai magistrati quando venne interrogato).

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