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Protesi al seno e rischio tumori: nuovi sospetti

L’FDA statunitense avverte: le protesi ruvide potrebbero favorire un raro tipo di linfoma, ma il rischio per le pazienti è comunque basso

Stanno emergendo nuove prove del possibile legame tra l’impianto di protesi mammarie “ruvide” e l’insorgenza di una rara forma di linfoma: a riferirlo è una nota della Food and Drug Administration (FDA) statunitense, che chiede ai medici di mantenere alta la guardia anche se il rischio per le pazienti resta comunque molto basso.

I casi segnalati

Ad oggi l’FDA ha ricevuto un totale di 359 segnalazioni di pazienti con protesi mammarie che hanno sviluppato un raro tipo di linfoma non-Hodgkin chiamato linfoma anaplastico a grandi cellule (ALCL): sono nove le vittime accertate negli Usa.
Dai dati non è ancora emerso chiaramente l’identikit delle protesi incriminate, perché non tutte le segnalazioni riportano informazioni complete sulle loro caratteristiche tecniche. Al momento si sa che 203 casi riguardano protesi dalla superficie ruvida, mentre in altri 28 casi il tumore è sorto dopo l’impianto di protesi lisce. Restano da chiarire anche i materiali più a rischio: 186 segnalazioni si riferiscono a protesi in gel di silicone, mentre altre 126 segnalazioni riguardano protesi con soluzione salina.

Gli studi scientifici

L’FDA americana fa anche il punto degli studi scientifici pubblicati dal 2011 ad oggi sul tema. Le informazioni raccolte indicano che le donne con protesi mammarie hanno un rischio di linfoma ALCL che è aumentato rispetto alle donne senza protesi, ma comunque molto basso. Nella maggior parte dei casi, il tumore è stato trattato con la rimozione chirurgica degli impianti, mentre alcune pazienti si sono dovute sottoporre anche a chemio e radioterapia.

Verifiche in tutto il mondo

L’FDA ha decido si lanciare questa allerta dopo anni di ricerche: i primi sospetti del legame tra protesi e linfoma risalgono infatti al 2011. Da allora il livello di guardia dei medici si è alzato in tutto il mondo e sono arrivate così le prime segnalazioni anche da altri Paesi.
In Australia, ad esempio, sono stati confermati 46 casi di linfoma ALCL legato alle protesi mammarie, con tre vittime. In Francia, nel 2015, l’Istituto nazionale per i tumori aveva denunciato 18 casi, sollevando un ampio dibattito giunto fino in Italia. Il nostro Ministero della Salute aveva emanato una nota in cui garantiva attenzione sul tema, sottolineando come l’esiguità dei casi non permettesse ancora di mettere in discussione la sicurezza delle protesi.
Anche gli oncologi dell’AIOM e i chirurghi plastici della SICPRE avevano preso posizione, spegnendo ogni allarmismo e rassicurando le pazienti sulla continua vigilanza. Nel 2016, infine, pure l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva affrontato il tema, citandolo in uno studio pubblicato sulla rivista Blood.

I consigli per medici e pazienti

L’FDA continua a mantenere un basso profilo sulla questione e, per il momento, si limita a dare consigli a medici e pazienti per affrontarla. Ai camici bianchi suggerisce di vigilare sulle donne con protesi mammarie che a mesi di distanza dall’intervento presentano un “sieroma freddo”, cioè un rigonfiamento con accumulo di liquido intorno all’impianto non dovuto a infiammazioni o traumi recenti.
Alle pazienti, invece, gli esperti dell’FDA consigliano di discutere attentamente le caratteristiche tecniche delle protesi prima dell’impianto con il proprio medico e poi, dopo l’intervento, di informarlo nel caso in cui si manifestassero cambiamenti anomali. La prevenzione continua poi facendo regolarmente la mammografia e, nel caso di protesi di silicone, la risonanza magneticaper verificare eventuali rotture.
fonte: https://www.ok-salute.it/diagnosi-e-cure/protesi-al-seno-e-rischio-tumori-nuovi-sospetti/

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