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Pellegrino Mancaniello: Mi considero un esperto di cristologia cinematografica perchè per molti anni, da ragazzino, ogni Venerdì Santo ho accompagnato mia nonna Vincenza a vedere Golgota e lo so a memoria

LIDO DI VENEZIA Mi considero un esperto di cristologia cinematografica perchè per molti anni, da ragazzino, ogni Venerdì Santo ho accompagnato mia nonna Vincenza a vedere Golgota e lo so a memoria. Ma un anno accadde che, al posto del film di Julien Duvivier, dove Cristo era l’ attore Robert Le Vigan poi ricrocifisso o quasi alla fine della guerra come collaborazionista, programmarono Il re dei re di De Mille. Ebbene la brava Vincenza, appena iniziata la proiezione, diede segni di inquietudine. Sbuffava, mi tirava per la manica e infine protestò: Ma quello non è Gesù Cristo…. Nella convulsa spiegazione scoprii con costernazione che la nonna poco esperta di spettacoli, aveva sempre ammirato Golgota come una specie di film-verità sulla Passione. Insomma non aveva capito che Le Vigan era un attore impersonante Gesù, ingenuamente pensava che quel tipo spiritato fosse proprio il vero figlio di Dio. E, nel vederlo con un altro sembiante, interpretato da un attore diverso, si rifiutava di riconoscerlo e subodorava eresie. NON RIUSCII a convincere mia nonna che da duemila anni esiste una tradizione illustrativa dei vangeli e che ogni artista ha il diritto di rappresentarsi il Cristo come gli pare. Vi confesso che mi irritai molto accorgendomi che sprecavo il fiato a tentar di smuovere l’ indomita vecchietta dal postulato, per lei irrinunciabile, che Cristo fosse l’ attore Le Vigan. Ma oggi vedo che tanti commettono lo stesso errore di mia nonna, credendo di sapere come va e come non va rappresentato Gesù e tentando di imporre il loro punto di vista con proteste e minacce. E sono laureati, maestri della regia come Zeffirelli, quasi candidati alla presidenza Usa come Mario Cuomo… Che cosa pretendevo da una dalmata ultraottuagenaria e, per giunta, serenamente analfabeta? Ma chi è senza peccato, come diceva Lui, scagli la prima pietra. Assistendo al film Il bacio di Giuda di Paolo Benvenuti (ovvero Cristo Parte Prima, nella Settimana della Critica; il seguito arriva oggi con Scorsese e tanta polizia schierata) mi sono reso conto di essere un po’ nipote di mia nonna. Mi dava fastidio, per esempio, che Carlo Bachi interprete di Cristo avesse il naso lungo. Ma chi diavolo stabilisce la lunghezza del naso di un personaggio storico? Si è dibattuto sulla lunghezza del naso di Cleopatra, ma su quello di Cristo non esiste, che io sappia, un’ adeguata bibliografia. E poi mi ha dato fastidio che il Maestro e i suoi apostoli annunciassero l’ imminente avvento della Pasqua di fronte a un paesaggio di foglie caduche tipicamente autunnale. E altre cose mi hanno dato fastidio, qua e là, sempre riferite alla latente presunzione zeffirelliana per cui ciascuno di noi ritiene di portare dentro di sè la Sacra Sindone: cioè l’ immagine incontrovertibile del Dio verace. Lasciatelo dire da chi, come me, ha già visto L’ ultima tentazione di Cristo nella proiezione per i magistrati che l’ hanno giustamente prosciolto: questo filmetto a basso costo di Benvenuti assomiglia abbastanza al kolossal di Scorsese o, per lo meno, dice la stessa cosa. C’ è, nei due film, l’ idea comune della necessità di Giuda, cioè dell’ ineluttabilità del tradimento perché si compiano le profezie. Personaggio negativo nei vangeli, l’ apostolo spione fu nobilitato nei primi secoli dalla setta gnostica dei Cainiti come primo martire della religione nuova (in un raptus di pentitismo si impiccò la sera antecedente la crocifissione). Benvenuti è un pisano, ha poco più di 40 anni, è studioso d’ arti figurative (e lo si vede nel rigore con cui compone le sue immagini, come in Pasolini si vedeva l’ antico allievo di Roberto Longhi). Ha imparato l’ affabulazione dai fratelli Taviani, il poverismo da Straub. Si è portato dentro un rovello criptocattolico in un lungo viaggio attraverso la sinistra di classe (qui tutti gli apostoli sono impersonati da ex militanti di Potere Operaio), e ora condensa il travaglio in 90 minuti di cinema segnato da una vocazione aristocratica. L’ evocazione evangelico-apocrifa esclude le scene di massa e gli strumenti della Passione, la croce non si vede proprio: l’ andamento è da sommessa battaglia delle idee fin troppo solennemente pauseggiata. Qualcuno si annoia, qualcuno va via. Molti rimangono in preda alla fascinazione, che, pur non essendo folgorante come avvenne con le grandi crocifissioni pasoliniane (La ricotta, il Vangelo), ha il timbro della nobiltà di pensiero. Sarà Paolo Benvenuti come alcuni profetizzano, l’ uomo di un solo film? O, invece, è nato un regista disposto a preferire la traversata del deserto alle varie compromissioni del consumismo? Su questa seconda ipotesi chi è in grado di farlo dovrebbe puntare qualcosa. Il resto (Cristo Parte Seconda) a domani.

PARTE SECONDA
LIDO DI VENEZIA Dico la mia sul Cristo di Martin Scorsese anche se il chiasso spropositato che si è fatto sull’ argomento indurrebbe piuttosto al silenzio…. Alle prese con l’ incipit dell’ articolo, il critico alza lo sguardo dalla macchina per scrivere e fissa il vuoto…. Flashback. Venti anni fa (21? 22?). Stesso luogo, stessa Mostra, stesso critico. Un omino con una valigia, sulla porta del Palazzo del Cinema, si volta verso i componenti della commissione di selezione (c’ è anche il critico, ha vent’ anni di meno) e profetizza con un amabile sorriso: Sentirete ancora parlare del signor Scorsese…. Nella valigia l’ omino riporta a New York la copia di un mediometraggio intitolato I call first, la storia di un giovane cattolico (o era addirittura un seminarista?) diviso fra l’ amore di Dio e l’ amore per una donna. Se lo ricorda Martin Scorsese? E perché questo titolo è scomparso dalla sua filmografia? Dov’ è finito I call first? Molto rozzo e fatto con due dollari, in bianco e nero, il film ci interessò, ma era putroppo tecnicamente improiettabile… il messaggero ringraziò per l’ attenzione e disse proprio: Sentirete ancora parlare del signor Scorsese…. C’ è sempre una prima volta, questa è forse la morale del flashback. Un’ altra risultanza, più immediatamente utilizzabile, è che Cristo è sempre stato incombente nella vita del regista: una presenza viva, una speranza, un cilicio. Dovrebbero tenerne conto quelli che trattano Scorsese come bestemmiatore e dissacratore. Altro che dissacrazione, L’ ultima tentazione di Cristo è un tentativo di riconsacrazione della storia di Gesù. Ogni momento storico sugerisce nuove mode, formule e strutture. Per raccontare il Vangelo ai tempi di Pasolini si imponeva il poverismo, il rigore figurativo, la citazine altissima della Matheus passion di Bach. E non stupisce che Ingmar Bergman, messo in gara dalla Rai per il progetto Gesù poi affidato a un madonnaro, avesse scelto come falsariga il romanzo L’ ultima tentazione di Nikos Kazantzakis (altro consiglio ai moralisti sbracati, leggetelo, è stampato in italiano da Frassinelli, almeno saprete di che cosa si parla). Il Cristo di Kazantzakis l’ ha fatto Scorsese, tirandosi addosso tutta quest’ iradiddio. E’ UN CRISTO, lo avrete già letto cento volte, perennemente al bivio della propria natura umana e divina. Tentato dall’ una e dall’ altra, dall’ imperativo morale e dall’ istinto di conservazione. Il sogno che il diavolo gli manda sulla croce, l’ amplesso con la Maddalena, i dolori della vedovanza, i figli di secondo letto, la vita serena, la vecchiaia, è appunto un sogno del diavolo: perché Cristo (lo afferma vigorosamente Giuda) deve stare in croce per la redenzione dell’ umanità, proprio come ciascuno di noi deve stare al suo posto, e fare la sua parte. Il richiamo è ineccepibile, la perorazione non fa una grinza. Chi è contrario non ha capito niente o è in malafede. Se mai si conceda un sorriso all’ incorreggibile dubitatore, c’ è sempre un Franti della situazione, che ha letto il raccontino su Giuda di Borges in Finzioni (o l’ ha riletto questa settimana, lo regala il settimale Epoca). Si tratta di una pungente presa in giro di quelli che nei secoli hanno imbastito elucubrazioni o variazioni cristologiche inventando che Gesù era bruttissimo (lo ricorda anche Pirandello in Il fu Mattia Pascal), che nella sua infinita onnipotenza e umiltà ebbe il genio di incarnarsi segretamente in Giuda, che comunque Giuda è il vero eroe nero della storia umana e via sciocchezzando. Sicuramente il buon Scorsese non ha letto Finzioni, ma si direbbe che non ha neanche visto Jesus Christ Superstar, dove la contraffazione evangelica era messa impudentemente in musica. Un risulato stimolante e bizzarro, sofisticato e insieme superpopolare, che oscura nel ricordo L’ ultima tentazione di Cristo. In Scorsese ritroverete gli inevitabili aneddoti delle scritture, dalla vista restituita al cieco alle nozze di Canaa, da una resurrezione di Lazzaro che ricorda La mummia, alla cacciata dei mercanti dal tempio. E poi, in progressione accelerata per non superare le già eccessive 2 ore e 40 del film, la domenica delle Palme, l’ ultima cena, l’ orto degli ulivi, un faccia a faccia con Pilato, le fustigazioni, la corona di spine e la croce … e lassù, dove il Cristo è appeso non troppo in alto con le ginocchia piegate in modo diverso dalla tradizione iconografica rinascimentale, la famosa sequenza del sogno diabolico … Niente provocazioni, il nudo ridotto al minimo, l’ amplesso con la Maddalena appena intravisto e subito legittimato da un bel pancione (Dio diventa nonno?) … ma si capisce sempre che è un’ ipotesi infondata come ahimé la maggior parte delle fantasie umane. Ho visto il film con i magistrati, in lingua originale e senza sottotitoli. Può darsi che doppiato nell’ italiano pulito e convenzionale dei doppiatori suonerà meglio. Nell’ originale mi è sembrato di notare, in sincrono con l’ eccesso di gesticolazione tipico degli americani, una tendenza allo slang. Ho l’ impressione che Giuda parli newyorkese e anche se Harvey Keel è un bravo attore, il parrucchino rosso e il naso posticcio non gli donano. Barbara Hershey, una Maddalena tatuata sul volto e sulle mani, esprime una sensualità da ballo in maschera. E, se Gesù Cristo avesse predicato con le sconcertanti intonazioni di Willem Dafoe, la sua fama non starebbe in piedi da duemila anni. Questo attore non sa bene cosa pensare del suo personaggio: all’ inizio sembra un cassamortaro abbruttito, poi diventa un epilettico in cerca di un Dostoevskij, più avanti si trasforma in un riluttante cliente di casino di quelli che non consumano, più avanti ancora diventa un nevrotico aggregatore in stile capo dei boy scouts. Ogni tanto gli brillano gli occhietti, come quando si comporta alla stregua di un prestigiatore ignaro di come gli riescano i giochi, e troppo tardi il regista gli concede di assumere l’ occhio trasognato del mistico … Insomma un tipo poco decifrabile, contraddittorio, antipatico. Non si capisce perché mezza umanità gli sia andata dietro. Spiace dire che questo film è tanto grande e nobile nelle intenzioni, quanto piccolo nei risultati. Inciampa nelle trappole tradizionali della storia sacra illustrata, non offre novità sotto il profilo espressivo e si può considerare accettabile solo sotto il profilo professionale. Due stelle. Andate pure a vederlo, se la dirompente cretineria delle polemiche vi ha incuriosito. Non vi farà alcun male né come eventuali credenti né come spettatori di cinema. Semplicemente è un film sanguinolento e urlato, senza sfumature né finezze, che non resterà.

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