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Origini e caratteristiche della robata, la tecnica di cottura alla griglia tipica giapponese

Il 2022 a Milano è iniziato alla grande. Infatti, ha aperto Ronin, un locale che in città davvero mancava. Un palazzo neo-liberty, quattro piani, solo limitatamente definibile giapponese, perché ha uno stile unico, contemporaneo, post-moderno, quasi futurista. E proprio qui, al primo piano si trova il ristorante Robata, che prende il nome dalla particolare tecnica di cottura giapponese alla griglia di cui vi parleremo oggi. Abbiamo scoperto la sua storia e le sue caratteristiche grazie all’incontro con Hisayuki Amae, nipote del ristoratore che ha il merito di aver diffuso la “robata”, e con lo chef Luigi Nastri, per tutti Gigi, attuale chef del ristorante, appassionato da anni del Giappone e della sua cucina, che oggi ci rende possibile a Milano degustare piatti preparati con questa cottura.

Robatayaki: origine e storia della robata giapponese

Questa cottura a fuoco diretto è stata diffusa Tomiya Amae, zio di Hisayuki Amae, designer giapponese che vive a Milano e che abbiamo incontrato da Ronin. Nel 1950, Tomiya aprì a Sendai il primo ristorante chiamato appunto Robata, una sorta di trattoria dove si faceva soprattutto cucina popolare, con pesce, verdure di stagione e altri prodotti locali, anche perché dopo la guerra era molto difficile reperire carne. Il tutto cotto alla robata e accompagnato da loro sakè tradizionale.

Tomiya Amae

“Tomiya era anche un appassionato di arte e artigianato locale, per questo il suo locale è stato arredato come la casa di un contadino, con tantissimi oggetti di artigianato” ci racconta Hisayuki. Nel 1953 è stato aperto un altro locale sull’isola di Hokkaido, dove utilizzano il pescato locale, come il sasakama, un pesce bianco molto comune, poi cotto alla robata. Qui sono venuti un sacco di artisti e persone famose, come il poeta e scrittore Kenji Miyazawa o il pittore Taro Okamoto. “Per questo alcuni pensano che la robata sia stata inventata a Hokkaido, ma in realtà è nato prima il locale di Sendai”.

Dunque, la robata non è una tecnica così antica, ma rappresenta perfettamente la cucina popolare di provincia, il “barbecue in stile giapponese” che si faceva soprattutto in campagna, a casa di un contadino che invitava persone, soprattutto gente di cultura. Così si creavano dei momenti molto conviviali, continua Hisayuki, in cui c’era un addetto alla robata che cucinava verdure e pesce direttamente sul fuoco bevendo sakè caldo, e si stava tutti insieme intorno al focolare. In giapponese, robatayaki, spesso accorciato solo in robata, ci spiega sempre Hisayuki, deriva da ro, che indica proprio una fonte di calore. Oggi però le cose sono cambiate e si è persa un po’ questa convivialità. Il locale storico Robata di Sendai esiste ancora e continua a fare robata in modo tradizionale, ma ha avuto il merito di aver poi diffuso questa tecnica in tutto il Giappone portando alla creazione di migliaia di punti commerciali robatayaki e self-robatayaki, ossia dei luoghi in cui i clienti possono cucinarsi loro direttamente sul fuoco quello che vogliono, indipendentemente dalla presenza di un cuoco. Non rispettano quindi la tradizione, che invece come abbiamo visto prevedevano la presenza di un addetto alla robata, oltre che tante persone insieme che condividevano un pasto in modo conviviale. Ma non solo perché ora invece che pesce locale, si cucinano anche spiedini di pollo.

Ma vediamo più di preciso come funziona questa cottura alla robata, in particolare nel ristorante Robata del Ronin, l’unico che la propone a Milano.

Robata: le caratteristiche di questa tecnica di cottura alla griglia

Come abbiamo anticipato, la robata è una tecnica giapponese che prevede la cottura degli alimenti direttamente sul fuoco, proprio come nei metodi più antichi. “Questo è il suo bello” ci racconta lo chef Luigi Nastri, “questo contatto diretto dà proprio un’altra sensazione, sia a chi cucina che al cibo”. Nella robata sono presenti tre griglie, su cui si alterna la cottura a seconda degli alimenti. “Ci sono carni che richiedono più passaggi sui vari piani della griglia, dipende sempre dai tagli e da che cosa cucini” ci spiega Luigi. “In questo modo, sui tre piani si ridistribuiscono anche i succhi dei vari cibi, un altro dei motivi che rende questa cottura eccezionale”.

robata griglia

Foto di Giulia Ubaldi

Sotto alle griglie, c’è una pietra refrattaria e due tipi di carbone: Palo Santo e Binchōtan (chiamato anche binchō-zumi), una tipologia di carbone vegetale giapponese, utilizzato fin da tempi molti antichi (pare dal Periodo Edo). Poi per l’affumicatura si usano due tipi di legno, un altro elemento fondamentale nella robata, che al Ronin sono di melo e di ciliegio, provenienti dal Canada, “che è il migliore, perché ha degli ottimi profumi” continua Luigi. Non male è anche quello di quercia bianca, che usano spesso in Giappone. Insomma, similmente come accade nella nostra classica brace, perché in realtà le differenze sono tante. Vediamole!

Robata e brace: quali sono le differenze?

Finora questa cottura potrebbe avervi ricordato un po’ quella nostra sul camino o alla brace, per il classico barbecue. Eppure ci sono alcune differenze sostanziali che rendono questa cottura diversa.

  • Innanzitutto, la qualità dei legni utilizzati che, nel caso della robata, sono estremamente ricercati, profumati e, di conseguenza, molto più cari.
  • In secondo luogo, a differenza di brace e camino, la cottura nella robata è chiusa, cioè tutto si trova sotto (come potete vedere dalla foto).
  • Infine, proprio perché chiusa, la temperatura è molto più alta che in un qualsiasi altro barbecue.

Foto di Giulia Ubaldi

Ciò che invece forse le accomuna – e che ha fatto innamorare il cuoco della robata – è il tempo che queste tipologie di cottura richiedono. Come per la braca o il camino, anche “la robata non è veloce, perché i prodotti devono anche riposare poi sul fuoco; ci vuole tempo insomma, un lusso che stiamo completamente perdendo”.

Ma ora vediamo, che cosa dunque si presta per essere cotto alla robata?

Ingredienti perfetti per per la cottura alla robata

Nel tempo la tecnica della robata si è diffusa sempre di più e oggi non si usa più solo per pesce e verdure, ma anche per la carne. I cibi migliori e più adatti da cuocere alla robata sono quelli più grassi. In primis, c’è il piccione, che secondo lo chef Luigi è in assoluto il piatto che rende e assorbe meglio questa cottura. “È anche uno dei piatti più rapidi da fare, ci vogliono al massimo otto minuti, mentre invece ci sono tagli di maialino che hanno bisogno di almeno 20-25 minuti”. In generale sono perfette le carni più saporite, come quelle di cacciagione, anche se in realtà, come anticipato, in Giappone è molto comune trovare gli spiedini di pollo preparati alla robata. Sempre per la grassezza, perfetta è anche l’anguilla, che il nostro cuoco ha inserito in un risotto eccezionale, rigorosamente laccata. “Non male è anche lo sgombro” aggiunge. E poi, ottime alla robata sono tutte le verdure, dalla carota al cavolfiore, un altro dei piatti eccezionali da provare assolutamente al Ronin, di cui vi daremo la ricetta.

Inoltre, è importante ricordare che ogni alimento prevede temperature diverse, quindi passaggi differenti tra le tre griglie. Ma questo lo vedrete direttamente nella cucina del ristorante Robata, anche perché è tutto a vista.

Il Ronin e il ristorante Robata, dove si porta in Italia questa tecnica di cottura

“Ronin è una narrazione subconscia del Giappone visto con occhi occidentali; è un insieme di elementi, geometrie ed immagini istantanee, accelerate fino a diventare indistinguibili, a favore dell’insieme. Insomma, l’occidente guarda al Giappone che guarda l’occidente”: queste le parole che si possono trovare entrando in quel luogo unico che è il ristorante Robata. E Luigi Nastri è lo chef perfetto per il Ronin, fondato dai tre imprenditori Guillaume Desforges, Jacopo e Leonardo Signani del gruppo “Salva tu Alma” dopo ben cinque anni di studio e ricerca. Infatti, in un luogo come questo, con un arredamento che rimanda al modernismo giapponese degli anni ‘60, dove domina il colore rosso del fuoco, che si propone di partire dal Giappone ma con uno sguardo sul mondo, un po’ futurista, sicuramente postmoderno, la sua formazione si inserisce perfettamente.

robata milano

Foto di Giulia Ubaldi

Originario di Amalfi, Luigi cresce in una famiglia di cuochi, ma poi prende un’altra strada e si laurea in Architettura, pur continuando sempre a cucinare. La passione per la cucina, però, non lo abbandona, portandolo a fare esperienze in vari ristoranti in tutto il mondo e a entrare in contatto con grandi cuochi, da Gennaro Esposito a Fulvio Pierangelini. Finché, al Gambero Rosso, non ha il primo incontro con la cultura gastronomica giapponese, destinato a cambiargli la vita per sempre: hanno inizio una serie di viaggi in Giappone (più di quindici!), che lo portano a innamorarsi delle sue tradizioni, sapori e soprattutto delle varie tecniche. La sua cucina inizia così a delinearsi come un insieme di tutti i suoi viaggi, con spunti, rimandi e richiami continui ai luoghi visitati. E poi quella telefonata, in cui lo chiamano per diventare lo chef di quel grande progetto in divenire che era il Ronin. E non c’era cuoco e persona migliore di lui per inserirsi e intrecciarsi in un posto così, non racchiudibile in nessun confine o categoria. Proprio come la sua cucina. Da quel momento, tutta la sua passione per questo mondo trovano finalmente spazio in vista del ristorante Robata, incentrato su questa tecnica di cottura. Nel menu inserisce una parte di sole materie prime (ovviamente ben selezionate) cotte direttamente alla robata e un’altra di vere e proprie ricette ideate da lui, come il risotto o il cavolfiore in tre consistenze, un piatto da provare assolutamente.

La ricetta del Cavolfiore al miso con mizuna, sake e sesamo dello chef Luigi Nastri

Come elevare un cavolfiore a uno dei piatti più buoni che ci sia? È semplice, basta seguire la ricetta dello chef Luigi Nastri e prepararlo in tre consistenze (di cui una alla robata) e in abbinamento ad alcuni ingredienti che ne esaltano i sapori, quali mizuna, sake, sesamo e l’immancabile mirin. Nella ricetta ci sono due preparazioni molto importanti, ossia amasu, ossia il prodotto sott’aceto di riso, che viene messo sul purè di cavolfiore, e dengaku, una preparazione tipica a base di miso e sakè che viene spennellata durante la cottura alla robata. Inoltre, si tratta anche di un piatto interessante da un punto di vista della sostenibilità e dello spreco, perché per la crema si utilizzano anche le parti del cavolfiore che di solito vengono scartate. Nel caso (molto probabile!) in cui non abbiate la robata, potete procedere con la cottura alla brace o alla griglia. Dunque, ecco qui questa meravigliosa ricetta inedita, pensata per quattro persone. Ma attenzione: non si tratta affatto di una preparazione facile!

cavolfiore robata

Foto di Giulia Ubaldi

Ingredienti

  • 1 cavolfiore
  • 20 g olio evo
  • 50 g cipolla bianca

Per la parte amasu

  • 20 g sale fino
  • 30 g aceto di riso
  • 10 g zucchero semolato

Per la parte dengaku

  • 20 g sake
  • 20 g mirin
  • 10 g aka miso
  • 10 g zucchero
  • 40 g mizuna
  • 5 g sesamo nero
  • 10 g sake
  • 5 g olio evo

Procedimento

  1. Tagliate il cavolfiore in quattro per il lungo, prendendo le parti centrali attaccate al gambo.
  2. Mettetele sottovuoto con un cucchiaio d’olio e cuocete in forno a 85 gradi per un’ora.
  3. Per la crema di cavolfiore utilizzate gli scarti del cavolfiore e fateli rosolare in pentola con cipolla bianca e olio evo. Dopo circa 10 minuti coprite con acqua e sale.
  4. Una volta cotto, scolate il cavolfiore e frullatelo fino a ottenere una crema liscia e lucida.
  5. Per la parte amasu tagliate delle cime di cavolfiore a crudo molto sottili e mettetele sotto sale per circa 30 minuti.
  6. In seguito marinatele in una soluzione a base di aceto e zucchero per almeno 24 ore.
  7. Per la salsa dengaku fate bollire sakè, zucchero e mirin, aggiungete dell’aka miso (miso rosso) e frullate per rendere il composto liscio.
  8. Una volta cotto il cavolfiore asciugate e cuocete sulla robata entrambi i lati. In caso di assenza della robata, potete utilizzare la brace, l’importante è avere dei carboni che raggiungono alte temperature e che rilascino una buona affumicatura. Per questo piatto ideale sarebbe un mix di palo santo, binchotan e legno di melo, come accennato in precedenza.
  9. Spennellate con la salsa dengaku solo un lato del cavolfiore e caramellatelo con un cannello da cucina a fiamma moderata.
  10. Terminate il piatto con della mizuna condita con olio, sale, sesamo nero e sake.

Allora, vi abbiamo fatto venire voglia di provare qualcosa cotto alla robata?

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