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Offshoreleaks, ecco che cosa sono le società off shore


ITALIA. Un pool di giornalisti associati di tutto il mondo hanno confezionato l’inchiesta giornalistica più imponente della storia, servendo sul piatto uno scoop che si preannuncia uno scandalo planetario.
Sono stati diffusi i file con nomi e informazioni di centinaia di migliaia di società off shore, cioè in paradisi fiscali, che potrebbero nascondere traffici illeciti e corruzione. Non è detto però anche se il sospetto viene quando si tratta di personaggi pubblici, pubblici amministratori o politici. 
Nella lista ci sarebbero almeno 200 gli italiani citati.
“L’Espresso” nel numero in edicola oggi presenta le prime quattro storie di italiani che hanno un ruolo in due colossali conglomerati di società offshore creati nei paradisi fiscali delle Cook Islands e delle British Virgin Islands. 

Il settimanale pubblica in esclusiva per l’Italia l’inchiesta realizzata dal media network di Washington, The International consortium of investigative journalists (Icij), con la collaborazione di 86 giornalisti investigativi di 38 testate. «Per la prima volta», spiega il giornale, «il pool investigativo è potuto entrare nei segreti della finanza offshore esaminando un database su 122mila società offshore, che fanno capo a due vere e proprie multinazionali ombra che muovono più di mille miliardi di dollari: somme in grado di destabilizzare l’economia del pianeta. In questa rete hanno un ruolo duecento cittadini italiani».
Dai primi documenti esaminati da “l’Espresso” ad esempio emerge il nome del commercialista Gaetano Terrin. 
Un altro Trustee indica come amministratori due vip della piazza finanziaria milanese: i fratelli Oreste e Carlo Severgnini, commercialisti, professionisti che hanno avuto incarichi nei più importanti gruppi italiani e in passato anche consiglieri di Stefano Ricucci. A loro fanno riferimento pure altre due entità domiciliate nei paradisi fiscali.

Invece Silvana Inzadi in Carimati di Carimate risulta avere dato vita nel 2002 a una complessa struttura di trust nelle Cook Islands.
Corre allora l’obbligo di sapere precisamente che cosa è una società off shore e a che cosa serve.
Il termine società offshore (o off-shore) – si legge su Wikipedia – identifica una società registrata in base alle leggi di uno stato estero, ma che conduce la propria attività al di fuori dello stato o della giurisdizione in cui è registrata. 
Si parla però spesso di società che offrono condizioni fiscali favorevoli derivanti dalla registrazione in ordinamenti che prevedono scarsi controlli e pochi adempimenti contabili.
Insomma una società off shore potrebbe servire ad eludere il peso fiscale del paese di origine del titolare.
Le società off shore possono offrire anche al tri vantaggi come la protezione del patrimonio, la semplificazione della burocrazia, l’ottimizzazione dei costi e soprattutto la riservatezza (Wikileaks permettendo).
Da una veloce ricerca sul web non si trovano agevolmente esempi di scopi leciti che possano in qualche modo giustificare e legittimare un uso corretto e legale di tale tipo di società. Nella pratica, le società offshore sono talvolta utilizzate per realizzare spericolate speculazioni lontano da possibili riflettori, operazioni vietate o illecite o nascondere perdite di bilancio.


Molte multinazionali utilizzano società off shore proprio per rendere in equilibrio il loro bilancio.
Non solo le classiche isole tropicali (Bahamas, Seychelles, Isole Vergini, Vanuatu, ecc.) ma anche grandi stati non comunemente ritenuti offshore offrono l’opportunità di creare società a tassazione nulla o prossima allo zero. Regno Unito, Nuova Zelanda, USA, Portogallo, Austria, Paesi Bassi sono solo alcuni esempi.
Negli ultimi anni sono aumentate a dismisura le società che offrono consulenza in materia per la costituzione di una “società in paradiso” e la concorrenza ha permesso la diminuzione dei prezzi tanto da permettere la apertura gestione e spese per un anno anche a meno di 1000 euro.
La legge sulla tutela del risparmio (L. 28 dicembre 2005 n. 262) ha iniziato ad incidere sul fenomeno delle società offshore, attribuendo al Ministro della giustizia il potere di determinare gli Stati «i cui ordinamenti non garantiscono la trasparenza della costituzione, della situazione patrimoniale e finanziaria e della gestione delle società». Sulle S.p.A. aperte italiane che controllino o siano collegate con società aventi sede in tali Stati ricadono particolari obblighi informativi.
Il Ministro della giustizia può inoltre individuare Stati che presentino «carenze particolarmente gravi». Le S.p.A. aperte italiane che intendano controllare società registrate in questi paesi sono tenute a rispettare un regolamento stabilito dalla Consob che valuti «le ragioni di carattere imprenditoriale» che motivano tale scelta. La Consob, qualora rilevi irregolarità, può presentare denuncia al tribunale.

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