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Nuova Zelanda: una casa tra roccia e cielo

La prima volta che l’architetto Vaughn McQuarrie li ha incontrati, i committenti della casa di queste pagine stavano per imbarcarsi in un trekking di due settimane. Avrebbero mangiato cibo in scatola dove capitava e dormito all’addiaccio. Lontani da tutto, soli nella natura. Questo per spiegare la loro idea di lusso. Innamorata del lago Wakatipu, in Nuova Zelanda, la coppia – che vive e lavora in Australia – aveva acquistato qui un lotto di terreno per costruirci una casa di vacanze.

La regione è una delle più belle dell’Isola del Sud: coste piene di fiordi; boschi verdissimi attraversati da torrenti, cascate. E sullo sfondo le Alpi meridionali, la cui cima più alta è il Monte Cook (o Aoraki in Maori), amata da scalatori ed escursionisti. Appassionati di natura, i due avevano individuato in McQuarrie, trovato con una ricerca sul web, un progettista capace di capire i loro desideri.

La zona pranzo si affaccia sul piccolo giardino roccioso ricavato davanti alla casa. Foto di Simon Devitt.

Lo spunto su cui lavorare è stato chiaro da subito: non desideravano una casa come ce ne sono tante in questo angolo del Paese, tutte vetro e spazio. Volevano un rifugio: un posto dove poter mangiare, dormire, lavarsi, giocare e leggere, a volte in compagnia di amici, immersi nella natura. Niente, o poco, di più. McQuarrie, il cui studio è sull’isola di Waiheke, davanti ad Auckland (a un’ora e mezzo di aereo da qui), è subito venuto a visitare il sito. E quello che ha trovato non gli è piaciuto molto.

«In mezzo al lotto di terreno era già stata ricavata un’area pianeggiante per costruire. Era stata azzerata la collina. Quello spiazzo mi sembrava una cicatrice, non credo che avrei mai preso una decisione del genere», racconta. Il suo approccio in effetti è all’opposto: «I miei progetti sono sempre site specific, guidati dal contesto in cui si trovano. Strutture che appartengono al luogo che le ospita. Qui avrei preferito assecondare la pendenza del terreno, non annullarla in modo così violento. Ma il danno era già stato fatto».

È iniziato così un progetto che è stato anche un processo di riparazione. L’architetto, una volta sul posto, ha passato giorni interi a studiare il paesaggio, la linea sinuosa del lago, i suoi monti. Come uno sciamano ha piantato un palo di legno al centro della piattaforma. Prendendolo come riferimento, ha segnato punti, tracciato linee, annotato dove sorgeva il sole e dove tramontava. Ha mappato l’ambiente, lo ha misurato ma soprattutto lo ha capito. In profondità.

Giochi di volumi e di luci per la camera degli ospiti, con affaccio sul lago e una piccola finestra-lucernario. Foto di Simon Devitt.

«A un certo punto ho immaginato che tre grandi rocce fossero scampate alla distruzione. Ho pensato a dove avrebbero potuto essere e le ho disegnate su carta. Poi le ho unite con qualche linea. La pianta della casa è nata in questo modo». La copertura l’ha voluta in pendenza in modo da ricreare il volume originale del terreno: «Ho cercato di restituire quello che era stato tolto». I materiali, cemento, legno e vetro, sono stati scelti per mimetizzare la struttura il più possibile. Per fonderla nell’ambiente, visivamente, ma non solo: «Mi sono ispirato a quei ripari di fortuna che i miei committenti erano abituati a utilizzare nel corso dei loro trekking: gruppi di rocce, di alberi, cavità naturali».

Una volta delineato il carattere dell’edificio, col suo profilo spigoloso e irregolare, McQuarrie ha iniziato a pensare all’interno. Anche in questo è stato importante lo spunto fornito dai due clienti, che non volevano la classica «glass box» in cui dentro e fuori si fondono in un unico ambiente. Anche se ovviamente la cornice in cui si trova l’edificio doveva essere messa in valore. «Al posto di un ambiente trasparente, che permette allo sguardo di spaziare dove vuole e che alla fine annulla ogni sorpresa, ho preferito immaginare una serie di affacci scelti, un’antologia di vedute. Per questo le finestre hanno forme così diverse: ognuna è una storia a sé», spiega. Come quella, volutamente bassa e orizzontale, della camera padronale: qui il panorama va guardato dal letto. Un’idea che dà a ogni angolo una sua connotazione e ritma l’ambiente, creando varietà.

L’organizzazione dello spazio – poco più di 100 metri quadrati – è semplice: un’area centrale dedicata al giorno e articolata su due livelli. In quello più alto, orientato a nord (nell’emisfero australe è l’esposizione più favorevole) si trovano la cucina e la zona pranzo. Qualche gradino più in basso si trova il living, da cui si gode un bellissimo panorama sul lago e sulle montagne. Sulla sinistra la camera padronale e sulla destra quella degli ospiti, entrambe pensate come suite con anticamera e bagno indipendente. Molti degli arredi sono realizzati su misura per ottimizzare al meglio questi volumi irregolari. Come in una barca.

Alcuni pezzi di roccia grezza, tutti recuperati nei dintorni, creano l’effetto natura desiderato da McQuarrie. Con economia di mezzi, efficacia scenografica e funzionalità: un masso al centro del living diventa un coffee table (ce n’è uno anche nel giardino), un altro nella vasca/doccia del bagno padronale serve da gradino. Le camere sono rivestite in tavole di multistrato, con le venature del legno che diventano un decoro astratto all-over. C’è qualche pezzo di design vintage (le poltrone anni ’70 del norvegese Sigurd Ressell) e contemporaneo: le lampade Gregg di Ludovica Roberto Palomba per Foscarini, le strisce di Led incastonate nel multistrato che illuminano le camere. Molti mobili, come il grande tavolo da pranzo, i letti e le panche, sono stati ricavati da un tronco di faggio trovato sul greto di un fiume, qui vicino, incastrato tra i massi. «Tutto rientra nella linea narrativa del progetto», prosegue l’architetto: «è un ritratto di come è la natura qui. Potente, quando vuole anche violenta». Come il clima, che sa essere estremamente rigido: per questo le finestre a sud sono ridotte al minimo e l’ingresso della casa è protetto da una sorta di camera di decompressione.

Di tutto il progetto, l’elemento di cui McQuarrie va forse più fiero è il modo in cui sono stati utilizzati i materiali: «Il cemento è stato colorato con pigmenti perché avesse le stesse tonalità delle rocce del paesaggio. E all’interno non dà l’impressione di freddo, anzi. Non crea un effetto bunker. Parlo per esperienza diretta, perché i proprietari, che non riescono a venire così spesso, ogni tanto mi prestano la casa», conclude. Nel 2019 il progetto ha vinto diversi riconoscimenti, tra cui il Southern Architecture Award del NZIA (New Zealand Institute of Architects). Che nella motivazione si è espresso così: «Questa abitazione segue il pendio della collina in modo coraggioso, non convenzionale. La struttura a gradoni sembra uno sperone di roccia. E l’interno ha un fascino che crea dipendenza». Una dichiarazione d’amore.

Ritrova questo articolo con le fotografie di Simon Devitt a pagina 82 di AD di gennaio.

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