SI SA, dolci e alimenti zuccherini sono i principali responsabili delle carie. Le nanoparticelle “sciogli-placca”, per ora testate solo in provetta e su animali, potrebbero essere la soluzione e, addirittura, essere in grado di prevenirle. Lo sostiene una ricerca pubblicata sulla rivista Nature Communications da Hyun Michel Koo della University of Pennsylvania School of Dental Medicine.
Il meccanismo è unico e selettivo: le nanoparticelle (già approvate dalla Food and Drug Administration per altri usi clinici) agiscono eslcusivamente nelle zone dentali dove serve, cioè dove la placca è molto patogena. L’idea è aggiungerle al comune dentifricio o collutorio insieme ad acqua ossigenata. In questo studio le nanoparticelle usate sono di ‘ferumoxitolo’, già in uso contro l’anemia.
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Gli scienziati hanno fatto simulazioni con placca umana prelevata da pazienti con carie posizionata su smalto dentale umano e hanno visto che le nanoparticelle agiscono in modo selettivo disgregando la placca patogena e al tempo stesso prevenendo la distruzione dello smalto. Lo studio è stato ripetuto anche su animali da laboratorio con carie. Il risultato? Pochi giorni di sciacqui con le nanoparticelle più acqua ossigenata riducono le carie superficiali e bloccano del tutto la formazione di carie nello smalto.
“L’idea di disgregare il biofilm è potenzialmente la strada più promettente contro le carie – commenta Cristiano Tomasi, Associato presso il dipartimento di Parodontologia all’Università di Göteborg (Svezia) e membro della Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (SIDP) – ma farlo indiscriminatamente potrebbe compromettere l’equilibrio del microbioma della bocca che ha funzioni essenziali per la nostra salute. La parte più promettente di questo studio, infatti, è che l’azione delle nanoparticelle è legata al pH (acidità della bocca), in modo da avere un effetto potenzialmente selettivo solo sulla placca patogena”. “Ovviamente va valutata la capacità di penetrazione nel biofilm e la possibilità di suscitare meccanismi difensivi (i batteri evolvono molto in fretta e spesso ad una strategia di attacco corrisponde lo sviluppo di un loro meccanismo difensivo) – precisa Tomasi. Al momento, però, si tratta di dati ancora sperimentali su modelli in vitro e in vivo – conclude – quindi dovremo aspettare possibili test clinici. Ciò non toglie che l’idea sia molto interessante ed innovativa”.