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Migranti, ecco perché Sea Watch ha fatto rotta sull’Italia. La ricostruzione che smentisce le accuse di Salvini e Toninelli

La convocazione della procura di Agrigento per un interrogatorio. La mancata risposta della Tunisia. Il rischio tempesta e la decisione di riparare verso la Sicilia. La ricostruzione dei giorni passati in mare dalla nave della ong e il pm che chiarisce: “Non ho riscontrato alcun reato”

Nella storia della Sea Watch 3 (la nave di una ong tedesca, battente bandiera olandese, che il 19 gennaio ha soccorso nel Mediterraneo 47 naufraghi, e ha dovuto attendere 12 giorni prima di ottenere, oggi, di farli sbarcare a Catania) un punto è stato oggetto di polemiche.  Fin dall’alba di venerdì 25 gennaio, quando la nave è entrata ufficialmente in acque italiane, i ministri Matteo Salvini prima, Danilo Toninelli poi hanno gettato ombre sull’operato della ong, sostenendo che ci fossero “elementi concreti” per sostenere che la ong dirigendosi verso l’Italia avesse disubbidito a indicazioni precise mettendo a rischio la vita delle persone. Anche Luigi Di Maio aveva auspicato il sequestro della nave.

Il pm: “Nessun reato”

A smentire questa ipotesi è stato per primo il pm di Siracusa Fabio Scavone, che dopo aver aperto un fascicolo senza indagati né ipotesi di reato ha chiarito che Petersen, il comandante, nel decidere di far rotta sull’Italia anziché sulla Tunisia “non ha commesso alcun reato” e ha detto di non aver “ravvisato elementi” per ipotizzare il reato di immigrazione clandestina.

La ricostruzione della ong

È stata la stessa ong, tramite la portavoce italiana Giorgia Linardi, a rendere note le comunicazioni in quei giorni per chiarire la vicenda “in tutta trasparenza”. E dunque: il 23 gennaio alle 14.35 Sea Watch contatta il ministero delle Infrastrutture olandese, competente per la guardia costiera, e chiede un Pos, un ‘porto rifugiò in Italia o a Malta dove riparare a causa del maltempo in arrivo. E in una seconda comunicazione indica Lampedusa come porto rifugio più vicino. La conferma che la richiesta è stata inviata all’Italia arriva dall’Olanda alla nave alle 16.11.

“Sea Watch – spiega Linardi – ha contattato autonomamente l’Olanda che, a sua volta, ha chiesto a Mrcc Italia e a Mrcc Malta di fornire un porto. Le autorità olandesi hanno poi ricevuto una risposta da Roma in cui si diceva che Lampedusa, che era lo scalo più vicino rispetto alla nave, non era un porto sicuro per ripararsi proprio a causa del ciclone che si stava per abbattere sul Mediterraneo”.

”Così siamo arrivati a largo di Siracusa”: la versione della Sea Watch

Condividi  La risposta giunta dall’Italia viene inviata dall’Olanda alla nave alle 19:05. E in quella stessa mail si aggiunge: “considerata la distanza, la Tunisia sembrerebbe essere una buona alternativa. Manderemo un messaggio alla guardia Costiera tunisina”. Un passaggio, questo, confermato anche dal pm. “Era un suggerimento che era stato dato al comandante della nave – dice Scavone – Non una prescrizione. C’erano condizioni meteorologiche avverse, il comandante per motivi di sicurezza ha poi deciso di approdare a Siracusa”.

Fa sapere ancora Linardi che la mail inviata a Tunisi dall’Olanda “non ha mai ricevuto risposta” né “Sea Watch ha ricevuto più risposta dall’Olanda”. A questo punto il comandante ha deciso di puntare verso nord “in quanto era la rotta meno vessatoria per le persone a bordo, visto il peggioramento delle condizioni meteo”.

L’invito del pm a Lampedusa

Ma non c’è solo questo nella ricostruzione di Sea Watch. La Ong sostiene che la nave si era avvicinata a Lampedusa anche perché “è stata invitata da un procuratore della Repubblica” a dirigersi verso Lampedusa per consentire al capitano e al capomissione di testimoniare sul naufragio del 18 gennaio in cui sarebbero morte 117 persone e sul quale ora la procura di Roma ha aperto un fascicolo per omissione di soccorso per valutare l’operato della Guardia costiera italiana.

Un passaggio, quest’ultimo, che “Repubblica” è stata in grado di verificare nei dettagli. Come spiegato oggi da Alessandra Ziniti sulle pagine del quotidiano, nel fascicolo che sarà presto aperto a Catania “finirà un atto firmato dalla Procura di Agrigento, diretta da Luigi Patronaggio, che spiega perché, il 23 gennaio, il comandante della Sea Watch abbia fatto rotta verso Lampedusa. Proprio sull’isola, il giorno precedente, il comandante Jerome Petersen era stato convocato dal pm di Agrigento Salvatore Vella, che si trovava lì per interrogare i tre superstiti del naufragio del 18 gennaio, per il quale la Sea Watch aveva offerto il proprio aiuto (rifiutato) prima di soccorrere i 47″.

Quell’interrogatorio, scrive Ziniti, fu bloccato dalla Capitaneria di porto e dalla polizia. Fu ritenuto impossibile far entrare a Lampedusa la nave con i migranti a bordo, perché i profughi avrebbero potuto buttarsi in acqua. E si preferì organizzare un incontro in alto mare, con “il magistrato accompagnato all’appuntamento con il comandante a bordo di una motovedetta con computer e stampante, per prendere a verbale le dichiarazioni di Petersen e del capomissione della Sea Watch”. Quando la tempesta imminente fece saltare anche questa soluzione, la convocazione fu rinviata a data da destinarsi. A quel punto, come già ricostruito da Linardi, la Sea Watch chiese all’Olanda dove riparare, Lampedusa le negò l’ingresso e Tunisi non rispose. Di qui la scelta del capitano di cercare copertura dietro le coste della Sicilia orientale.

Le nuove accuse dei ministri

Ecco perché sembra priva di fondamento la linea di Toninelli e Salvini, che però hanno continuato a ribadirla. Il ministro dell’Interno ieri, quando nell’annunciare lo sbarco imminente ha commentato: “Missione compiuta! Ora mi auguro che si indaghi sull’operato della ong”. Il collega ai Trasporti ancora stamattina, e senza mezzi termini: “Sono favorevole al sequestro della Sea Watch perché non ha chiamato la Guardia costiera libica, non è andata al porto più vicino, ha fatto 200 miglia con il mare mosso per arrivare di fronte alle coste siciliane e creare un caso internazionale”.

fonte repubblica.it

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