EXITO STYLE

L’ultimo abbraccio (social) al preside che insegnava nello stile di don Milani

Bologna, migliaia di messaggi di studenti sul web per la scomparsa di Maurizio Lazzarini, il dirigente del decalogo alla rovescia per allievi e genitori. Sulla porta del suo studio la scritta: “I care”


Sulla porta del suo studio c’era la scritta “I care”. Gli interessava ogni suo studente, passava ore con loro, dialogava via social, al suo insediamento aveva reso pubblico il suo cellulare (“ragazzi, se avete bisogno mandatemi un sms”), regalava loro la Costituzione il primo giorno di scuola, li radunava nella palestra quando arrivavano in quinta, l’ultimo saluto ai maturandi di giugno è stato con una poesia di Kavafis: “Non sciuparla la vita, fino a farne una stucchevole estranea”. Maurizio Lazzarini, preside da otto anni guidava il liceo Fermi di Bologna, se ne è andato a causa di una malattia nel tempo di questa estate. Una scomparsa che ha scosso il mondo della scuola, non solo bolognese: migliaia di messaggi hanno inondato i social e il sito web del liceo scientifico: “Perdiamo un grande maestro”.

Una reazione sorprendente in una scuola abituata ormai al conflitto permanente tra studenti e professori, tra professori, genitori e presidi, assuefatta al tutti contro tutti. E’ la scuola come dovrebbe essere quella che saluta oggi Lazzarini. Ai funerali i suoi studenti porteranno lo striscione col suo motto “Voi non siete al Fermi, ma il Fermi”, ovvero una comunità. E’ una scuola straordinaria, quella che ora si stringe intorno alla sua figura, vera e capovolta come i suoi famosi decaloghi alla rovescia. A settembre dell’anno scorso aveva dedicato l’ironico decalogo ai suoi studenti: “Cari ragazzi, considerate sempre i vostri docenti come nemici, copiate, evitate di fare i compiti a casa, tanto fior di pedagogisti vi dicono che sono inutili”, con l’avvertenza: “se lo seguirete non farete fallire la scuola, fallirete voi”. L’anno prima aveva scritto ai genitori: dieci mosse per far fallire la scuola. Usava l’ironia e la sua cultura per smontare luoghi comuni e sostenere controcorrente che “al dialogo non c’è alternativa, che non c’è divario tra vita e formazione”.

Gli insegnanti lo ricordano per questo. “La scuola può essere priva di materiali innovativi, di strumenti tecnologici e, sì, anche di nuove porte e banchi integri ma per te, ed ora per tutti noi, non può non possedere un’impronta educativa comune, un’identità ben definita”, scrive Lucia Santini. Bruna Di Fonzo aggiunge: “Mi diceva: chiediti sempre quando lasci una classe se sei stata davvero con loro e hai vissuto con loro e se la risposta è sì, allora sei stata il miglior insegnante che potessero avere in quel momento”. E ancora: “Un preside che interrompe quello che sta facendo ti guarda negli occhi e poi ti ascolta subito perchè capisce al volo che non poteva dirti …”dammi dieci minuti e sarò da Lei”…è un grande maestro”. Paola Poluzzi rimpiange “il suo anticonformismo e la capacità di usare il ‘pensiero laterale’ quasi quotidianamente”. “Quante volte mi hai detto che il sistema e la burocrazia non dovevano essere un alibi per noi insegnanti/educatori e per voi dirigenti”, le parole di Liviana Sgarzi.

L'ultimo abbraccio (social)  al preside che insegnava nello stile di don Milani

Il preside tra i suoi studenti di quinta

Maurizio Lazzarini, 59 anni, era stato insegnante elementare, poi direttore didattico e dirigente. Era un combattente, un pedagogista rivoluzionario colto e appassionato. E con una raffinata ironia con la quale affrontava le avversità del sistema, gli inciampi della burocrazia scolastica, anche le eccessive ansie delle mamme. Il suo pallino era formare cittadini. I suoi studenti ed ex ora gli dedicano canzoni via social, poesie – quelle che lui amava e che lasciava sui loro banchi nei messaggi di inizio d’anno, per la festa dell’8 marzo – lo piangono i bidelli e i colleghi. Scrive una studentessa: “Non mi scorderò mai che al suo: “Tu hai i numeri per questa scuola, solo che ancora non lo sai”, gli risposi: “Per giocare al Lotto?” e lui scoppiò a ridere dicendomi che il sarcasmo è un chiaro esempio di intelligenza”.

Scrivono da Arezzo, da Verona, da Rimini, lo ringraziano le famiglie dell’associazione “Hikikomori Italia genitori”, che segue i ragazzi ritirati in casa. Una valanga di stima e di affetto, di dolore e ricordi, si è scatenata con la sua morte. Anche di non rassegnazione, come il ragazzo che scrive: «Preside non doveva andarsene ora, non l’avevo ancora ringraziata a dovere». Lo fa adesso: «Mi pensavo obbligato a percorrere una strada che mi avrebbe distrutto, grazie a lei ho preso la prima uscita che ho visto». Aveva messo in pratica la scuola di don Milani, quella del “non uno di meno”, dell’accoglienza, dell’impegno civile da servitore dello Stato quale si considerava. E, infatti, amava ripetere una frase del prete di Barbiana: “Io, per i miei ragazzi, farei alle fucilate”. E lo faceva per davvero, con cuore e cervello.

POST A COMMENT