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Leonardo Sciascia e la politica: dal Pci di Enrico Berlinguer a Marco Pannella

AGI – La politica, la Sicilia e la mafia, il Pci di Enrico Berlinguer, il partito Radicale di Marco Pannella. Ricordare Leonardo Sciascia significa attraversare un bel pezzo di storia politica del Novecento, sul quale lo scrittore di Racalmuto ha impresso un “segno indelebile”, spiega Valter Vecellio, giornalista, direttore di ‘Notizie Radicali’, che ha frequentato lo scrittore di Racalmuto e ne curò anni fa l’edizione di alcuni scritti ne ‘La palma va a nord’, libro ormai introvabile.

“Già dai tempi della guerra Sciascia – racconta Vecellio all’AGI – comincia a frequentare a Caltanissetta un circolo in cui trova, tra gli altri, Emanuele Macaluso, con cui rimarrà, nonostante le divergenze, amico fino alla fine”. L’avvicinamento al Pci nella Sicilia di quegli anni è “quasi naturale” perche’ “lì trovava coloro che combattevano la mafia, lì era a fianco di zolfatari, contadini, di quelle persone che negli anni Cinquanta lottavano letteralmente per il pane”. L’autore de “Il giorno della civetta” scenderà in campo direttamente solo nel 1975, su richiesta di Achille Occhetto, che da segretario regionale del Pci lo vuole come candidato indipendente nella lista per il Consiglio comunale di Palermo

Occhetto ha oggi 85 anni, e ricorda perfettamente quel giorno con un aneddoto: “In quell’occasione mi insegnò a fare le uova sotto la cenere”, racconta, sorridendo.  “Noi – dice all’AGI l’ex segretario nazionale del Pci – volevamo fare una lista non solo del Pci, che era in minoranza, ma una lista di liberazione di Palermo dalla mafia, che comprendesse personalità in grado di cambiare l’isola. Ebbi con lui una serie di incontri. Dapprima fu riottoso, poi, dopo due incontri, mi invitò nella sua casa a Racalmuto”.

“‘Pensa – gli dissi – se quando si apre il consiglio comunale, da un lato entra Ciancimino e dall’altro Sciascia, pensa cosa può significare questo per la Sicilia, per l’Italia. Lui ci pensò su un attimo, e mi disse: ‘Mi hai convinto'”. “Se ne va due anni dopo – continua Vecellio, autore di “Leonardo Sciascia, la politica e il coraggio della solitudine”, per l’editore Ponte Sisto – accusando il Pci di voler costruire compromessi con la Dc di Lima e Ciancimino, e si dimette dal consiglio comunale”.

E’ la prima di una serie di rotture con Botteghe Oscure, che aveva già visto un importante segnale con la pubblicazione de “Il contesto”, la cui trama, che descrive una ragnatela di alleanze e coperture di una serie di omicidi di magistrati, non piacque a diversi esponenti comunisti. Lo scrittore siciliano, dopo due anni, si dimise dal consiglio comunale: “Con molte ragioni – sottolinea Occhetto – si stancò dell’andazzo: si aspettava per ore che il comitato d’affari decidesse ciò che diversi consiglieri poi eseguivano, ed era veramente umiliante. Una parte dei consiglieri della sinistra aveva un atteggiamento, come usava in Sicilia, di una certa bonomia nei rapporti politici, e questo dava un senso di decadenza che, giustamente, non gli piacque. Non fu una rottura politica con noi, ma una avversione verso questo modo di fare politica”

Leonardo Sciascia continuò a votare a sinistra, per il Pci, il Psi o il Psiup. Poi, prosegue Vecellio, giunse “la polemica riguardo il coraggio o la presunta vigliaccheria degli intellettuali: gli venne incollata quella frase-etichetta ‘Nè con lo Stato nè con le Brigate Rosse'”. Sciascia “l’ha sempre rifiutata, affermando: ‘Io sono contro le Brigate Rosse e sono contro QUESTO Stato'”. Il distacco con Botteghe Oscure si acuisce con il caso Moro: lo scrittore siciliano “sceglie una linea che apra un dialogo con le Br in modo da guadagnare tempo, il Pci è per la fermezza fin dal primo intervento in parlamento Giorgio Amendola”. Poi arriva la vicenda della querela di Enrico Berlinguer e della controquerela.

“Sciascia e Renato Guttuso – ricorda Vecellio – vanno a Botteghe Oscure per parlare con Enrico Berlinguer dei problemi della Sicilia. E’ una conversazione a tre, in cui affiora anche il tema di terrorismo: secondo Sciascia, Berlinguer fece capire che tra i terroristi e la Cecoslovacchia vi erano dei legami. Berlinguer smentì, e lo querelò. Da Sciascia partì una controquerela”.

Si consumò, in quei giorni, anche un’amicizia personale tra lo scrittore di Racalmuto e il pittore di Bagheria, che aveva dato ragione al segretario del Pci. Leonardo Sciascia non perdonò mai a Guttuso di averlo fatto, di aver omesso la verità. La scelta per il partito radicale arriva a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, a Palermo, nella sede della Sellerio, la casa editrice alla quale Sciascia indicò libri preziosi per la pubblicazione. “‘Non ti chiediamo di venire nel partito Radicale – gli disse Marco Pannella, secondo il racconto di Vecellio – ma è il partito Radicale a venire da te”.

Lo scrittore chiese quanto tempo aveva per pensare alla proposta e Pannella, e quest’ultimo rispose: “Cinque minuti, perchè si deve andare dal notaio”. Sciascia fuma l’ennesima sigaretta, rientra nella stanza e dice “Hai bussato alla mia porta, ma era già spalancata”‘. Sciascia accetta soprattutto perchè “vuole entrare nella commissione d’inchiesta su via Fani, e proseguire quel percorso che aveva cominciato con la lettura delle lettere che Moro aveva fatto uscire dal covo in cui era prigioniero” e che poi ha condotto a una storica relazione di minoranza, poi divenuta un libro: “L’affaire Moro”.

La delusione verso il Pci restò, e grande. Lo scrittore siciliano avrebbe apprezzato la svolta della Bolognina? “Come faccio a saperlo?”, risponde Occhetto, e aggiunge: “Penso che non poteva essere contrario. Pannella fu estremamente favorevole; Sciascia, che era radicale, avrebbe forse avuto la stessa posizione”. Poi, un altro ricordo personale: “Quando lanciai in Sicilia l’unità antimafiosa, fece un trafiletto in cui elogiò il carattere letterario di questa mia scelta. Ne fui molto orgoglioso”.

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