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Le nigeriane di Roma: "Meglio morire in mare che schiave sulla strada

084614327-ee484ce9-9d6c-4d28-a019-259c2caf548a.jpgCollatina, nell’ex caserma dove vivono le ragazze della tratta. “Le maman ci proteggono e se sbagliamo pagano le famiglie” “Le mie connazionali morte nel mare? Ora sono più fortunate di noi”. Christine e Mary sono sedute, con le spalle alla strada, su un muretto in mezzo a calcinacci e sporcizia nel nulla di via dell’Acqua Vergine, un’arteria disastrata che collega la Prenestina alla Collatina. Le loro parole fanno male. Meglio morte che fare quella vita, ovvero le prostitute da 6 mesi. Ma dovendo scegliere, a differenza delle 26 donne inghiottite dal Mediterraneo, “preferisco questo anziché rimanere in Nigeria”. Preferenze al ribasso quando non ci sono altre chance.
Il grido d’allarme fa venire loro gli occhi lucidi e il nodo in gola. Ventisei e trent’anni, lavorano in strada da centottanta giorni. Il primo mese qui a Roma, dopo essere arrivate da Lagos – la città presa a modello dal leader pentastellato Grillo – sono rimaste rinchiuse in quello che è il quartiere generale della prostituzione, ovvero uno stabile che doveva essere una caserma della polizia stradale ma è stato occupato da anni ormai, al 385 di via Collatina da immigrati, per lo più del centro e sud Africa. Una maman, la protettrice che recluta, prende in cura e tiene sotto scacco le ragazze che arrivano, ha spiegato loro che la vita qui a Roma sarebbe stata molto diversa da quanto prospettato: nessun anziano a cui badare, niente babysitteraggio. La strada sarebbe stata la loro unica prospettiva di lavoro.
Mary, ciglia finte lunghissime colorate con rimmel blu, si spalma una specie di unguento sulle braccia “per scappare alla polizia se ci trova”, spiega. L’olio rende scivolosa la presa. “Maman ci consiglia così “. Sono impaurite, non vogliono parlare, poi, dietro promesse di non rivelare mai la loro identità, piano piano si liberano. “Maman ora è buona con noi, se non facciamo quello che dice però uno dei nostri parenti morirà nel nostro paese. La magia è potente”. Una specie di chignon di treccine decolorate di biondo copre un buco sulla nuca. Una ciocca di capelli le è stata strappata. Ma lei si aggiusta le trecce e non spiega cosa ne è stato di quei capelli.
Le storie della magia nera con cui le protettrici tengono sotto scacco le vittime non è una leggenda. E le prostitute nigeriane ne sono terrorizzate. “Lavoriamo dalle 7 del mattino fino alle cinque o le sei del pomeriggio, poi andiamo a casa con l’autobus”.
La loro casa è sulla strada parallela a quella in cui lavorano, l’ex caserma della Stradale appunto, da cui spuntano parabole aggrappate ad ogni finestra. “Ma se guadagnamo tanto tra poco ci danno una casa, come alle altre”. Le altre, quelle che fruttano all’organizzazione molti soldi, abitano in appartamentini sparsi tra il Prenestino, Torre Angela, Borgata Finocchio. Lontano dallo stabile occupato, il monolocale è il primo step verso una libertà immaginaria, un’agognata meta in una prospettiva di vita desolante.
La fedeltà verso la maman è salda anche se “certo che ci fa schifo questo lavoro “. Loro non sono arrivate qui attraverso i canali dell’immigrazione clandestina, via mare. Hanno avuto un visto turistico e sono decollate su un aereo per approdare qui. Il viaggio lo hanno pagato gli aguzzini e il passaporto, appena arrivate, gli è stato sottratto. Prima la prigionia col lavaggio del cervello, poi la strada. Non solo via dell’Acqua Vergine. La concentrazione  di prostituzione nigeriana si snoda anche su altre arterie: in via Tiberina, alle 14 di ieri ce n’erano una trentina, e in via Polense e via Salaria altrettanto. Sempre, tutti i giorni. Dieci ore di lavoro. Le conversazioni con le lucciole nigeriane sono in inglese. “Di italiano conosciamo poche parole, solo quelle che ci servono per lavorare. Maman dice che è meglio non conoscere l’italiano”. In caso di retate della polizia il silenzio è d’oro.

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