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L'architetto torinese Bonino "ricostruisce" il Lingotto nell'ex fabbrica in Cina

L'architetto torinese Bonino "ricostruisce" il Lingotto nell'ex fabbrica in Cina

Un’immagine del progetto di Michele Bonino e Mauro Berta

Con il “modello via Nizza” il team vince la gara per la riqualificazione di un ex stabilimento a Guangzhou: sui 500 metri di lunghezza dell’edificio un percorso vetrato come l’8Gallery

Il Lingotto come modello per la riqualificazione di un complesso industriale cinese, destinato a divenire un parco della musica aperto alle start up e all’innovazione. Il Politecnico di Torino, con Michele Bonino e Mauro Berta, docenti di progettazione architettonica e urbana nel Dipartimento di Architettura e Design, assieme alla South China University of Technology e al suo rappresentante Sun Yimin, si è classificato primo nel concorso indetto per ridare nuova vita alla Pearl River Piano Factory, nell’ambito della trasformazione urbana della città di Guangzhou (Canton). Lo storico marchio locale, che detiene il 12 per cento della produzione globale di pianoforti, ha destinato infatti la vecchia sede a un grande parco creativo incentrato sul tema della produzione musicale. Per dimensioni e caratteristiche – 133 mila metri quadri distribuiti su 7 piani e una lunghezza di oltre 500 metri – la Pearl River Piano Factory può essere considerata un “Lingotto cinese”. Tra le altre similitudini, anche la vicinanza del fiume e l’organizzazione dei fabbricati in senso longitudinale.
A tutto questo deve avere pensato il gruppo torinese, membro del South China-Torino Collaboration Lab, che si è avvalso dell’esperienza maturata nella fase di transizione torinese e nella ricerca di nuove vocazioni della città al di là di quella industriale dell’autoveicolo. Un’esperienza, unita alle “best practices” acquisite nel settore, che li ha portati ad avere la meglio sugli altri 7 candidati, tra cui i più importanti Design institutes della provincia del Guandong. Michele Bonino
«Il progetto si basa sulla realizzazione di un percorso interno chiuso da vetri, con spazi pubblici, tra cui una caffetteria al secondo piano, e lungo tutta la facciata dell’edificio: una sorta di attraversamento, che in un certo senso può essere paragonato alla 8 Gallery del Lingotto – dice Bonino, che da diversi anni è responsabile dei rapporti tra il Politecnico torinese e il mondo universitario cinese, in particolare la Tsinhgua University di Pechino – Per il resto, la nostra proposta è stata mantenere il 90 per cento della fabbrica simile a com’era, un po’ come ha fatto Renzo Piano con l’ex stabilimento della Fiat. Una scelta che ci ha favorito, perché gli altri gruppi hanno presentato trasformazioni più radicali che evidentemente sono piaciute meno».
Bonino racconta di avere presentato la candidatura a luglio e di avere lavorato per tutto il mese di agosto, perché i tempi erano molto stretti. A settembre ha presentato il lavoro di fronte alla giuria cinese: «Abbiamo illustrato il nostro progetto, ma anche altri recuperi torinesi e mostrato in particolare le immagini del Lingotto. Sono stati conquistati, anche perché i cinesi amano lavorare sulle analogie e copiare i modelli».
Il prossimo passo sarà ora il progetto esecutivo, vincolato
però a un altro bando in cui il gruppo torinese partirà favorito: «Ma anche se non vinceremo la seconda tranche del concorso, la realizzazione si baserà sul nostro progetto, a cui ha collaborato per i disegni il ricercatore Edoardo Bruno».
La nuova “fabbrica” cinese, trasformata in parco della musica, ospiterà anche startup impegnate nella creazione di strumenti
 

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