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L'AQUILA – 1992: ''ARRESTATE LA GIUNTA REGIONALE'', UN QUARTO DI SECOLO DALL'INDAGINE SHOCK

Il giudice Romolo Como (al centro), Rocco Salini (a sinistra) e Fabrizio Tragnone (a destra)

 L’AQUILA – Un quarto di secolo fa il clamoroso arresto dell’intera Giunta regionale d’Abruzzo, spiccato il 3 ottobre 1992.

La richiesta di custodia cautelare in carcere fu recapitata all’allora giudice per le indagini preliminari del tribunale dell’Aquila, Romolo Como, su richiesta del pubblico ministero Fabrizio Tragnone. Il sì del gip portò al primo e ancora oggi unico caso nell’Italia repubblicana di arresto del presidente della Regione, Rocco Salini, e di otto assessori dell’ente, tutti accusati di abuso d’ufficio e falso: un fatto epocale, che fece il giro della nazione suscitando una rabbiosa reazione della politica e finì anche negli States, sulle pagine del prestigioso quotidiano New York Times.
Il caso fece scalpore perché inedito, ma poi le indagini a carico dei vertici amministrativi della Regione sono diventate un’amara costante nella storia abruzzese.
Nelle ultime quattro legislature regionali, infatti, dal 2000 a oggi, l’Abruzzo si è ritrovato sistematicamente con il proprio presidente della Giunta coinvolto come indagato in vicende giudiziarie, in verità per ora in un solo caso su 4 concluse con una colpevolezza accertata: la magistratura ha indagato Giovanni Pace (centrodestra), Ottaviano Del Turco (centrosinistra), unico condannato, Gianni Chiodi (centrodestra) e Luciano D’Alfonso (centrosinistra).
Il caso di Del Turco il più clamoroso, con il “bis” dell’arresto del governatore e una vicenda giudiziaria che, dal 2008, si trascina ancora oggi: ultima tappa, la sentenza bis di Appello che ha eliminato alcune imputazioni e rideterminato la pena a 3 anni e 11 mesi dagli iniziali 9 anni e mezzo, mentre la difesa chiederà la revisione del processo.
Tornando a 25 anni fa, a originare l’inchiesta “Pop” del 1992 era stata la denuncia di un ingegnere originario di Ateleta (L’Aquila), Francesco Mannella, dopo che il suo progetto per la costruzione di un albergo da finanziare appunto con i cosiddetti “fondi Pop” (Programmi operativi plurifondo) era stato escluso senza apparente valido motivo.
Le indagini della procura sostenevano una tesi chiara: i fondi erano stati distribuiti secondo logiche partitiche, squisitamente proporzionali al peso politico, senza nemmeno vagliare le domande utilizzando i criteri di legge e senza stilare una graduatoria.
Tutti in carcere allora, governatore e assessori, per evitare che continuassero a ripetere quel reato. “L’inchiesta diventerà un certificato di buona condotta per tutti noi”, ringhiò il più volte ministro e principale politico abruzzese Remo Gaspari in un’intervista, denunciando anche “metodi da Gestapo” ed “effetto Di Pietro”, d’altronde erano gli anni di Tangentopoli.
Ci aveva preso abbastanza, “Zio Remo”. Ma non del tutto. È vero da un lato che, dopo la condanna in primo grado del 1994 e quella in Appello del 1995, nel 1997 arrivò l’annullamento da parte della Corte di Cassazione limitatamente all’abuso d’ufficio, lasciando in piedi solo il falso per il solo Salini, in relazione a una delibera di Giunta che aveva firmato. Cadde, comunque, l’accusa principale.
Nel frattempo, tuttavia, era cambiata la legge sull’abuso d’ufficio, rendendo estremamente più difficile dimostrare l’illecito. La famiglia Tenaglia ha contattato la redazione facendo notare che la sentenza degli “ermellini” giunse prima che fosse varata la nuova normativa e, quindi, si trattò di assoluzione piena.

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