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La teoria dei "due forni". Di Maio a caccia di Palazzo Chigi sulle orme di Andreotti

Il leader della Dc teorizzò che bisognava “comprare il pane dove conveniva di più”.  Un’idea della politica che ha segnato la storia d’Italia da Depretis a Berlusconi e Renzi. E che ora entra anche nella strategia dei Cinquestelle

ROMA  –  “Quando Giulio Andreotti enuncia la teoria dei due forni eravamo in tre o quattro intorno a lui, alla buvette di Montecitorio. Lo fece con semplicità con naturalezza, quasi non sapesse, e lo sapeva benissimo, che le sue parole l’indomani avrebbero fatto il giro dei giornali quotidiani. Se debbo comprare il pane, disse, e ho nella mia stessa strada due forni e uno di questi me lo fa pagare caro o mi dà un prodotto scadente, vado dall’altro”.  L’uomo politico democristiano era morto da poche ore e Giuseppe Loteta, notista politica di lungo corso, iniziava così il suo “coccodrillo”.
Segno dell’importanza che questa “teoria” ha avuto nella vita e nell’attività politica di un uomo che ha segnato tutta la vita della Prima Repubblica. Un filo conduttore e una concezione della politica tornata ancora una volta di moda in questi giorni. Soprattutto dopo l’offerta di Luigi Di Maio a Pd e Lega, uno vale l’altro, di fare un contratto di governo sul modello tedesco. Ma l’idea dei due forni torna anche nei retroscena  di oggi che vedono Matteo Salvini un po’ preoccupato perché l’alleato Silvio Berlusconi al forno grillino sembra preferire quello di Matteo Renzi e del suo tormentato Pd. Nei grafici è indicata la base parlamentare delle due potenziali alleanze. Quella composta da M5s e Lega, i due vincitori delle elezioni del 4 marzo, è nettamente più ampia di quella che come alternativa alla Lega considera il Pd (oltreché la pattuglia dei parlamentari di Leu).
COME NASCE LA METAFORA DEI DUE FORNI
Andreotti, fumoso come al solito, in un’intervista spiegò di avere inventato i “due forni” durante la crisi politica che portò alle elezioni anticipate del 1987. Ma altri giornalisti e storici fanno risalire l’idea, il concetto, alla fine degli Anni 50, ai primi Anni 60, quelli dell’avvento del centrosinistra. Quando Andreotti incarnava la destra della Dc e i due fornai erano il Partito socialista italiano di Pietro Nenni e il Partito liberale italiano di Giovanni Malagodi. E all’occorrenza anche gli esponenti del Movimento sociale italiano. Anni in cui il morente centrismo cercò appoggi a destra, fino al governo Tambroni, per poi virare a sinistra con l’apertura al Psi.
La teoria, comunque, Andreotti la mise in atto con il suo governo del 1972, dove, dopo la fine del centrosinistra, tornarono al governo i liberali assenti dal 1962. Un esecutivo che strizzava anche l’occhio ai missini di Almirante cresciuti alla politiche. Alla fine degli Anni 70, dopo l’assassinio di Aldo Moro, il quadro è completamente mutato: nella visione di Andreotti a offrire pane c’erano sempre i socialisti, ma di Bettino Craxi, e i comunisti di Enrico Berlinguer. Teorizzazione che mandò su tutte le furie il leader socialista. Un’inversione di rotta, dopo gli anni della solidarietà nazionale, rispetto all’anticomunismo degli Anni 60. Ma quello che restava sempre vivo era sempre e comunque l’obiettivo di salvaguardare e valorizzare la centralità della Dc.

La teoria andreottiana, come altre battute famose, tipo “il potere logora chi no ce l’ha” o “meglio a tirare a campare che tirare cuoia”, è entrata nel gergo politico-giornalistico. Solo nelle ultime ore tocca al forzista Antonio Tajani evocare e bocciare la politica dei “due forni” dei grillini, “brutta copia della politica democristiana”. Gli ha fatto eco il dem Gianni Cuperlo per cui le proposte di Di Maio “assomigliano molto all’antica filosofia dei due forni. A questo punto, sembra che a guidare il primo partito italiano sia un uomo giovanissimo per l’anagrafe, beato lui, ma già vecchissimo nell’animo”.
IL RITORNO DEI FORNI CON BERLUSCONI
Ma i famosi forni sono stati evocati anche prima delle elezioni quando Silvio Berlusconi stringeva alleanze con Matteo Salvini e nello stesso tempo studiava un futuro governo con Matteo Renzi. E i due, nel 2014, sono protagonisti di un’altra presunta corsa alle panetterie: Renzi stringe con Berlusconi il Patto del Nazareno. Il leader di Forza Italia doveva vendere al segretario del Pd il pane per fare le riforme, mentre a quello necessario alla sopravvivenza del governo ci pensava il transfuga Angelino Alfano
Sempre Renzi è stato accusato di praticare la filosofia andreottiana accettando i voti di Denis Verdini. E tornando ancora più indietro non c’è tornante della storia patria in cui qualcuno non venga accusato di coltivare la teoria del doppio forno. L’accusa ricadde su Mario Monti, sospettato di cercare accordi con il centrodestra mentre Bersani sosteneva il suo governo. Non è sfuggito neanche Pier Ferdinando Casini che della materia si intendeva molto. Uscito dal centrodestra fu attaccato nel 2009 al grido di “cerca di fare la politica dei die forni da Berlusconi”.
Un urlo di battaglia, un’invettiva, che sotto altri nomi, trasformismo, opportunismo, compravendita, discende per i rami della storia: Cavour governava cercando appoggi a destra e sinistra, Depretis ne fece un’arte bollata appunto  come “trasformismo”. Pratica che si poggiava sui “voltagabbani” o i “responsabili” della fin fine dell’Ottocento. All’inizio del 1900 Giovanni Giolitti realizzò veri capolavori, cercando forni ovunque: si accordava con il leader dei socialisti Turati, ma sottobanco trafficava con i cattolici.

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Basti pensare al conte Gentiloni, avo del premier ancora in carica Paolo, che firmò il famoso patto con cui i cattolici tornavano alla politca appoggiando i candidati giolittiani in cambio di alcune cosette come lo stop al divorzio. Cento anni dopo tocca a Luigi Di Maio. Lega e Pd pari sono ed è pronto a comprare il pane meno caro. Andreotti avrebbe parlato di “concretezza” che non a caso era il nome della rivista della sua corrente.

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